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Il disfacimento della famiglia iraniana in Acrid – Storie di Donne

In concorso all’ottavo Festival di Roma, dove ha vinto il Premio Miglior Cast di Attori Emergenti, giovedì 11 giugno arriva al cinema AcridStorie di Donne,  il film diretto dall’esordiente iraniano Kiarash Asadizadeh che punta il dito sull’istituzione familiare nell’Iran di oggi.

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Soheila è un medico che lavora in una clinica per bambini malati, e ogni sera torna a casa da un marito (Jalal – ginecologo) che ha il vizio del tradimento e l’abitudine di assumere nel suo studio solo segretarie nubili. L’ultima impiegata che assume è Azar che, pur di ottenere quel lavoro, nasconde al medico di essere sposata con Koshro.

Tra Azar e Koshro a casa è un inferno e non si attende altro che il divorzio, ma mentre Azar continua a lamentarsi e a provare astio, Koshro frequenta Simin, donna già divorziata che insegna chimica all’università e ha una sorella in crisi con il marito. Tra gli studenti di Simin infine, c’è Masha, una esile e giovane studentessa fin troppo presa dalla relazione con il suo ragazzo e che si scopre poi essere la figlia di Soheila e Jalal, in una sorta di chiusura del cerchio della storia.

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Alle prese con uomini, dentro un Paese che non vuole cambiare, Soheila, Azar, Simin e Mahsa provano a decidere del proprio destino, resistendo, troncando, rilanciando, chi fuggendo lontano. Il film, circolare e ipertestuale, pone l’attenzione sui cambiamenti della società, colpevole di aver reso vacillanti i rapporti interpersonali.

Acrid vuol dire acre, aspro. È il fil rouge del film, dell’amarezza e della sofferenza per il tradimento in tutte le sue forme. “Alcuni anni fa, la famiglia contava molto per il mio popolo – spiega il regista Kiarash Asadizadehfamiglia e matrimonio erano parole piene di amore e rispetto”.

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Purtroppo adesso, dopo molti anni, le fondamenta alla base delle famiglie sono diventate instabili: “in parte per colpa della società e in parte per colpa della famiglia stessa”.

Tutti questi problemi hanno fatto si che il regista girasse il suo primo lungometraggio: “questo film rappresenta in parte la realtà delle odierne famiglie iraniane. Non si tratta né di una diagnosi né necessariamente di una risoluzione ai problemi. Il film vuole semplicemente essere un avvertimento per quelle famiglie che non sono consapevoli del loro status, non sono consapevoli, fino in fondo, di vivere nella menzogna e influenzare e colpire persone innocenti, vittime di colpe e violenze perpetrate da altre persone”.

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Dal punto di vista di Asadizadeh tutto quanto è collegato: “nella vita tutto ha una ciclicità, ed è su questa filosofia che si basa il film. Spero che queste storie possano penetrare nei nostri cuori e farci comprendere come stiamo agendo e in quale direzione stiamo andando”.

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