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Il mito di Antigone in scena al Teatro Carcano di Milano

Dal 20 febbraio all’1 marzo al Teatro Carcano di Milano andrà in scena Antigone, lo spettacolo – prodotto dal Teatro Stabile di Catania – diretto da Laura Sicignano e con protagonisti principali Sebastiano Lo Monaco e Barbara Moselli.

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Antigone

All’indomani di una guerra civile, Creonte re di Tebe (Sebastiano Lo Monaco) deve riportare la pace tra le macerie attraverso un editto: il sovrano condanna a rimanere insepolto il cadavere di Polinice, uno dei fratelli contendenti. Creonte come nuovo regnante è consapevole che il suo dovere ora è sancire il confine tra vincitori e vinti, buoni e cattivi, scrivendo la Storia con la Ragion di Stato e sradicando ogni focolaio di ribellione. Si oppone all’editto Antigone (Barbara Moselli), senza odio, in nome di un giustizia umana che precede e supera le leggi. Antigone è la diversa e l’eccezionale: come figlia di un incesto, per il destino di profuga a cui la condanna il padre cieco Edipo, per essere sorella di due fratricidi, per la forza della sua ribellione femminile. È lei a scatenare il conflitto con Creonte, ponendosi perciò in pieno nel destino tragico che ha contrassegnato la stirpe dei Labdacidi. La pietas di Antigone la pone ora come estranea alle leggi della città, in contatto con le leggi degli dèi e dei morti. Madonna pagana piangente sul corpo del fratello, celebra il rito e diventa pericolosamente anarchica. Creonte e Antigone si fronteggiano in enormi solitudini, a costo di perdere ogni felicità.

In scena l’irresolubilità del conflitto. Chi ha ragione? Creonte, il cui compito è controllare l’ordine sociale e mantenere la pace dopo la guerra civile? O Antigone, che ha come dovere supremo la sepoltura del consanguineo? Nel palazzo reale, bruciato dalla guerra, attraversato da lampi di luce cruda e da suoni dionisiaci, l’insanabile conflitto travolge tutti i personaggi dello spettacolo.

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Un mito di bruciante attualità

Ragione di Stato, disobbedienza civile, ribellione femminile, perdita del Sacro: che cosa significa affrontare il mito di Antigone in un momento storico in cui molti temi affrontati nella tragedia di Sofocle sembrano essere tornati di bruciante attualità? Salvatore Settis, nel saggio Il Futuro del Classico, afferma che nessuna civiltà può pensare se stessa, se non dispone di “un altrove nel tempo e nello spazio”, ovvero di altre società come termine di comparazione. I testi classici parlano al presente attraverso archetipi universali e il teatro, dove la polis si ritrova e riflette su se stessa, è il luogo privilegiato per la messa in scena di quei conflitti irrisolti che ci riguardano da vicino.

Laura Sicignano racconta…

Antigone è un mito fertile: non smette di parlare al presente e di generare riflessioni sulla società di ogni epoca. Si è declinata nei secoli secondo lo spirito dei tempi, è stata riscritta in decine di versioni, il suo nome continua ad essere evocato per eroine ed eroi controcorrente, spesso oggetto di dibattiti accesi. La nostra Antigone non dimentica il presente, ma non vuole esserne cronaca. Si muove tra la misteriosa cerimonia tragica e la concretezza dell’attore contemporaneo. Sarà poi lo spettatore ad accogliere la proposta di riflettere su quanto riusciremo a smuovere“.

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Il testo viene asciugato, l’azione e la relazione sono privilegiate rispetto alla dizione. La drammaturgia si intreccia organicamente con il suono e la musica dal vivo. Lo spazio astratto e visionario richiama palazzi bruciati, infinite guerre mediorientali, tecnologia e miseria, in una fuga prospettica verso l’ineluttabile tragico. Si contrappongono la parola del potere e quella della ribellione, la pietas dei giovani – che giunge agli estremi del cupio dissolvi – contro la Ragion di Stato degli adulti. Da Sant’Agostino a Leibniz, da Voltaire ad Hannah Arendt, l’idea del male minore ha percorso il pensiero morale occidentale: in questo dilemma si dibatte Creonte. Egli, fulcro dell’azione tragica, assurge suo malgrado al potere e in poche ore dal potere viene distrutto, sotto gli occhi partecipi o ostili – a seconda dell’opportunità – dei suoi cortigiani mercenari, coro pericoloso, capace di empatia e minaccia, poesia e violenza, proprio come la stupefacente creatura – l’Uomo – di cui canta“.

Antigone nel momento in cui si affaccia alla vita adulta, preferisce trasformarsi in martire suicida, in nome di una radicale negazione del mondo e così Emone, con un effetto di emulazione che evoca generazioni votate all’autodistruzione. I giovani di questa tragedia si immolano. Può sopravvivere solo Ismene, perché si cancella, scompare da viva. Il vuoto dei padri inghiotte quello dei figli, in un vortice che implode davanti agli occhi del mondo. Euridice incapace di intervenire, complice con il proprio silenzio, diviene parlante solo come mater dolorosa: c’è un misterioso palinsesto cristologico che riverbera al passato in questa tragedia, per cui, ancora, il supplizio di Antigone ci sembra una via crucis. La polvere al centro del contendere, è la pulvis a cui tutti ritorneremo“.

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Nell’universo pagano – di cui oggi possiamo conoscere solo le rovine – non c’è resurrezione né perdono. Tiresia, il folle di Dio, il tramite tra cielo e potenze ctonie, non può risolvere, ma solo avvisare quando ormai il male è compiuto. In mezzo a queste gigantesche forze contrastanti, rischiando di esserne schiacciato, si aggira suo malgrado la Guardia, l’uomo qualunque, che dalla sua rivendicata mediocrità, teme e disprezza la grandezza tragica. Tutti i personaggi nella loro complessità, nelle loro contraddizioni, invocano gli dei, ma nel mistero di questa ineluttabile tragedia non arriverà alcun deus ex machina a riportare la pace. Tutti i personaggi sono travolti dai flutti di un mare furibondo: cos’è il Male? E perché? È il caso, è uno scherzo divino, o la punizione per la ubris dei protagonisti, oppure è il destino di tutti? A noi resta, attraverso lo specchio di queste sventure “estranee”, la possibilità di contemplare, esorcizzare, elaborare le forme del conflitto presenti nella nostra stessa realtà“.

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