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Il mondo fuori e dentro a Room, il capolavoro di Emma Donoghue

Da sconosciuta a premio Oscar come Miglior Attrice. È la storia di Brie Larson, la straordinaria protagonista del notevolissimo Room di Lenny Abrahamson, il film tratto dall’omonimo romanzo di Emma Donoghue che ne ha anche scritto la sceneggiatura per il cinema. Ai recenti Oscar è stato candidato all’Oscar come Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Non Originale.

Room racconta la straordinaria storia di Jack (un eccezionale Jacob Tremblay), un bambino vivace di 5 anni che viene accudito dalla sua amorevole e devota Ma’ (Brie Larson). Come ogni buona madre, Ma’ fa di tutto affinché Jack sia felice ed al sicuro, ricoprendolo d’amore e calore e passando il tempo a giocare e raccontare storie. La loro vita però, è tutt’altro che normale – sono intrappolati- confinati in uno spazio senza finestre di 3 metri x 3, che Ma’ eufemisticamente chiama Stanza.

All’interno di questo ambiente Ma’ crea un intero universo per Jack, e fa qualsiasi cosa per garantire al figlioletto una vita normale ed appagante anche in un luogo così infido. Ma di fronte ai crescenti interrogativi di Jack circa la loro situazione, e la ormai debole resistenza di Ma’, decidono di mettere in atto un piano di fuga molto rischioso, che potrebbe metterli però di fronte ad una realtà ancora più spaventosa: il mondo reale.

Jack e Ma'

Jack e Ma’ nella Stanza

Con una narrazione che alterna sensazioni di prigionia e libertà, un viaggio fantasioso nelle meraviglie dell’infanzia, ed un profondo ritratto del legame familiare e della forza d’animo, Room è una esperienza trascendentale che esplora il legame tra genitori e figli e mostra il potere trionfante dell’amore familiare anche nei momenti più bui. Un viaggio che inizia in una stanza isolata e blindata di 3 metri x 3 che poi sfocia in un universo vasto, illimitato e sconosciuto.

La storia della Donoghue ha preso d’assalto la scena letteraria nel 2010 commuovendo critici e lettori e diventando un bestseller molto popolare, giudicato immediatamente un classico moderno. In parte favola, in parte thriller, il libro affronta i temi della prigionia e della liberazione, dell’isolamento e del ricongiungimento, e di come creiamo e percepiamo il mondo. Ma è anche una celebrazione innegabile dell’amore dei genitori verso i figli, della loro forza d’animo che  approfondisce gli elementi vitali e che porta al superamento della disperazione.

Jacob Tremblay è Jack

Jacob Tremblay è Jack

Jack non ha mai sentito il vento, né la pioggia, non ha mai conosciuto una sola anima diversa da Ma’. Non sa che sua mamma lotta per sopravvivere nella loro Stanza da quando aveva 17 anni. Invece, il suo amore infinito e l’idea di benessere che ha rivolto al figlio, lo hanno eluso dai pericoli, lasciandogli dare spazio alla curiosità, all’affetto, ed all’intrepida esplorazione del mondo umano. Per Jack i confini oltre la Stanza sono vissuti come un mondo di fantasia: ma è un mondo destinato a crollare quando Ma’ gli propone un piano di fuga audace per mettere piede nel mondo esterno, con tutte le relative incognite che rappresenta. Il divario tra questi due mondi opposti – quello fatto d’amore-gioco-e Ma’ noto a Jack, ed il mondo esterno, che inconsciamente li spaventa – fa emergere il fulgore del film.

Avendo scritto il suo romanzo così meticolosamente, Emma Donoghue era forse la migliore candidata sulla terra per rimodellare Room in modo viscerale, offrendo un’esperienza visiva che abbraccia il libro, ma che al contempo rapisce quella fetta di pubblico ignaro della trama. “Ho sempre pensato che il libro sarebbe potuto diventare un film, perché la trama aveva uno slancio naturale – spiega la Donoghue – quindi, durante la scrittura del romanzo, addirittura prima della sua pubblicazione, ho iniziato a lavorare sulla sceneggiatura”. Una scelta così motivata: “era il momento perfetto per scrivere il film, senza interferenze, consolidando in un certo senso il potere sulla proprietà”.

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Ad ispirare la Donoghue è stata la straziante storia vera di Elisabeth Fritzl – una ragazza austriaca imprigionata per 24 anni in un seminterrato dal padre violento. Durante quella prigionia, la Fritzl ha dato alla luce sette bambini, tre dei quali sono cresciuti assieme a lei in quella camera stagna. Ma l’autrice non era interessata alle lusinghe più convenzionali della storia: i luridi crimini commessi contro la Fritzl o il fascino culturale verso i criminali psicotici. Lei è stata attratta da questioni più grandi e sostanziali, relative alla natura umana e la resistenza umana, che quella strana maternità e la sopravvivenza della Fritzl hanno fatto sorgerle: Cosa farebbe un genitore in una stanza chiusa a chiave? Come si poteva sperare di crescere al meglio un bambino completamente rimosso dalla società fin dalla nascita? Che cosa sarebbe accaduto una volta emersi nella vita moderna dopo aver vissuto in disparte molti anni della propria esistenza?

Le basi metaforiche del film sono turbinose e vaste – ogni svolta della storia sembra ripercuotersi sui misteri della vita stessa: sulla meravigliosa, tormentata segretezza dell’infanzia; sugli istinti primordiali di protezione della condizione di genitore; sulla voglia di dare un senso al di là di qualunque cosa noi siamo. La Donoghue dice: “è stato un modo di portare all’estremo il rapporto genitore figlio attraverso le esperienze quotidiane – per esplorare l’intero arco di emozioni che entrano in gioco in questo essenziale, a tratti folle, dramma della nostra vita“. L’oscurità del libro viene compensata da un sottofondo di amore – disordinato, imperfetto, oppressivo, infinito: “i bambini hanno la tendenza naturale a crescerespiega la scrittricefinché sono ricoperti d’amore e d’affetto, anche se in circostanze oscure o incomprensibili, si adattano, trovano un modo per star bene e crescere“.

Ma' e Jack nel mondo reale

Ma’ e Jack nel mondo reale

Questi temi sono centrali anche nella sceneggiatura. Ma la Donoghue era profondamente consapevole che il film richiedeva una immediatezza che un romanzo non ha, così si è avvicinata alla sceneggiatura come una creazione indipendente seppur attinente ad esso. Per mantenere lo spazio fisico della Stanza senza apparire troppo soffocante al pubblico, la Donoghue l’ha divisa in zone interconnesse, ognuna delle quali sembra enorme nell’immaginazione di Jack. Dice: “Ho fatto del mio meglio per creare diversi sotto-spazi – quello sotto il letto, nell’armadio e nel bagno. Non ho mai voluto dare la sensazione di essere in prigione, ma esiste parecchia gente che ha vissuto in spazi ristretti – detenuti o mistici – che hanno creato mondi vastissimi nelle loro menti. La Stanza ai nostri occhi appare lurida, ma per Jack è semplicemente la sua casa”.

Il più grande enigma dell’adattamento è stato quello di contrastare la vita all’interno della Stanza che appare nella prima metà del film, con il totale sovraccarico sensoriale della vita esterna nella caotica ma redentrice seconda parte. Anche se può sembrare che la battaglia di Ma’ e Jack è finita, risulta chiaro fin da subito che la loro libertà richiederà una dose di coraggio ancora più grande: “nella Stanza, pur costretti nei limiti di spazio e di possibilità, regna una sorta di magia contornata dall’umorismo di una madre e del suo bambino nella loro vita quotidiana – osserva la Donoghue – nella seconda parte della storia Jack impara a conoscere nuovi lati della personalità della madre”.

L'attenzione mediatica

L’attenzione mediatica

Una volta uscita dalla Stanza per approdare nel mondo reale, la vita di Ma’ cambia completamente. Non solo deve fare i conti con i disturbi della sua gioventù che ha lasciato alle spalle, ma deve affrontare un vortice mediatico, l’assalto dei giornalisti che la dipingono come un’eroina materna, per poi buttarla giù, come da copione. In mezzo a tutto ciò, lotta con forza per dare un senso a sé stessa, e per riavvicinarsi a Jack in modo nuovo.

Una volta usciti, la loro esperienza viene a galla, attirando l’attenzione della società: “sapevo che il film avrebbe tirato fuori perfettamente l’aspetto mediatico della storia, perché il pubblico che segue la vicenda di Jack e Ma’, nasconde un aspetto voyeuristico – osserva la Donoghue – la cosa più difficile per Ma’ è che è stata considerata una sorta di icona della maternità dagli altri, eppure in cuor suo sente che il rapporto che aveva con Jack nella Stanza le sta scivolando via“.

Un amore infinito

Un amore infinito

Una volta scritta anche la sceneggiatura, la Donoghue ha affidato la sua opera nelle mani di Lenny Abrahamson, il regista che l’ha convinta grazie ad una lettera: “Lenny ha capito perfettamente che il film non doveva rinchiudere lo spettatore in uno spazio claustrofobico; ma considerava la Stanza un microcosmo da esplorare con la videocamera. Ha capito che laddove Ma’ percepiva il pericolo, c’era un intero cosmo d’ amore e salvezza verso Jack“.

“La Stanza è l’universo di Jack e la prigione di Ma’, uno spazio pieno di fantasia, storia e rituali”.

Lenny Abrahamson

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