LOC67-pardo-4-NEG - Copia

Inizia oggi il 67° Festival del Film di Locarno, crocevia di idee e di grande cinema

Prende il via oggi il 67° Festival del film di Locarno che si concluderà il prossimo 16 agosto. Partenza col botto con l’anteprima di Lucy, il film di Luc Besson con Scarlett Johansson. Un’edizione ricca di grandi nomi internazionali, da Roman Polanski a Melanie Griffith, da Juliette Binoche a Mia Farrow e tanti altri. Per avvicinarci a questo grande evento estivo del cinema, riportiamo integralmente le parole del Direttore Artistico del Festival, Carlo Chatrian.

Il Direttore Carlo Chatrian

Il Direttore Carlo Chatrian

“Ogni festival di cinema, piccolo o grande che sia, ha la pretesa di fornire, se non uno stato delle cose, una mappa aggiornata dell’arte e del mondo che ancora questa disciplina cerca di rappresentare. In questa sorta di carta geografica si dovrebbero delineare delle direttrici e dei percorsi secondari, dei punti imprescindibili e una serie di luoghi insoliti. Il Festival del film Locarno non sfugge alla regola; e penso che scorrendo il programma riconoscerete quali sono le linee guida di quest’edizione. Se la mappa prevede un sistema ragionato di segni, ognuno distinto dall’altro, il programma quest’anno privilegia la sovrapposizione, la condivisione, lo scambio. Locarno è da sempre un fertile luogo d’incontro. Un luogo dove esperienze diverse vengono a contatto e così facendo inevitabilmente si scambiano qualcosa. L’immagine del crocevia, il punto in cui le strade si incrociano è affine all’idea della Piazza come luogo di scambio di idee e cose. Alla centralità di uno spazio protetto da palazzi sostituisce quell’apertura di strade che si intersecano”.

resized_650x365_461023

“Penso a queste strade come ai percorsi degli spettatori che verranno a Locarno e ne ripartiranno, dopo aver goduto di quegli scambi, di quelle sovrapposizioni che il festival incentiva. Il cinema stesso è arte dello scambio. Si scambia un’immagine per la realtà, un percorso individuale per una visione del mondo. È un trucco e al contempo una magia, qualcosa che incanta e che arricchisce. Il cinema è un’arte che si avvantaggia dagli incroci, dalle sovrapposizioni, dalle ibridazioni. È la Nouvelle Vague che ha portato in eredità quest’idea. Proprio a quella esperienza di libertà formale e di ibridazione di linguaggi il programma guarda quest’anno. Lo fa accogliendo Agnès Varda, una delle interpreti suo malgrado, visto che sempre si è detta restia a esservi associata, e Olivier Assayas, una delle voci che si sono nutrite di quell’esperienza. In un senso più ampio le presenze di Víctor Erice e quella nel Concorso internazionale di registi come Pedro Costa, Paul Vecchiali, Martín Rejtman, partecipano a quest’idea. Lo stesso accade con la grande retrospettiva che dopo anni di scelte autoriali, accoglie la sfida di raccontare l’avventura della casa di produzione Titanus, gettando uno sguardo a quel laboratorio dove il cinema popolare e quello d’autore si confondono e si nutrono vicendevolmente, finendo per essere specchio di un’Italia la cui identità è frutto di continuo processo di ricostruzione, pensato a partire da linee fratture”.

 “Il programma dei film del Concorso internazionale, oltre a permettere un viaggio intorno al mondo in 17 titoli mette a confronto due diverse modalità: da una parte ci sono film che si affidano al potere affabulatorio del racconto, dall’altra registi che lavorano sulle tracce sparigliate di una narrazione che è già accaduta. Il cinema di finzione e quello documentario, il saggio e il film in prima persona confluiscono in un insieme di opere che certifica la vitalità del cinema quale strumento per raccontare l’io nel mondo e il mondo nell’io. Questo progetto è forse ancora più evidente nel programma del Concorso Cineasti del presente, laboratorio di idee ed emozioni, luogo degli azzardi e di quelle intuizioni che saranno poi ricche di frutti”.

"Adieu au langage" di Jean-Luc Godard

“Adieu au langage” di Jean-Luc Godard

“Se l’anno scorso il Festival si era aperto al 3D, quest’anno i film in programma sono 3, frutto di precise ricerche estetiche: ad Adieu au langage di Jean-Luc Godard e Young Detective Dee: Rise of the Sea Dragon di Tsui Hark (nel quadro dell’omaggio a Nansun Shi) si aggiunge l’ultimo film di Edgar Pera, Lisbon Revisited. Come lo scorso anno, il Festival accoglie e fa dialogare registi affermati ed emergenti, attori riconosciuti e volti nuovi. Così è anche il programma della Piazza Grande che spazia da commedie corali a film drammatici, dal cinema indipendente americano a quello realizzato dalle major. In dieci giorni lo spettro delle proposte cercherà di raccontare la varietà del mondo contemporaneo, toccando zone calde del presente e ferite impossibili da rimarginare, eterne questioni esistenziali e vicende sepolte nel passato”.

“Un altro elemento imprescindibile nel definire Locarno come un luogo d’incrocio e di trasmissione di esperienze ed emozioni è la presenza di ospiti capaci di incarnare la varietà di un’arte che non finisce di stupirci. Per una buona parte di loro sarà una prima e sono convinto che il fascino di questo Festival, libero e coraggioso nelle sue proposte, ospitale e generoso, non li lascerà indifferenti. Saluto dunque e ringrazio Juliette Binoche e Mia Farrow, Armin Mueller-Stahl e Melanie Griffith (protagonista di Thirst, Pardi di domani), Jonathan Pryce e Jason Schwartzman di aver accolto il nostro invito e di aiutarci a rendere Locarno la casa di tutto il cinema”.

Mia Farrow

Mia Farrow

“Anche quest’anno la produzione svizzera lascia il suo segno nel programma del Festival. Due i graditi ritorni in Concorso internazionale: lo sguardo intimo, a fior di pelle di Andrea Štaka si arricchisce con Cure – The Life of Another di un nuovo capitolo, ancora più coraggioso e arrischiato del premiato Das Fräulein. L’Abri chiude invece la trilogia che Fernand Melgar ha dedicato a quei cittadini troppo spesso invisibili. Centrato ancora una volta in un luogo dal forte valore simbolico, un rifugio aperto nei mesi più freddi dell’anno per ospitare una cinquantina di senza tetto, film conferma l’assunto che spesso in un microcosmo si vede con maggiore nitidezza quanto accade in una scala più grande. Due anche i film in Piazza Grande a raccontare l’identità plurale di questo paese che, nonostante tutto, resta uno splendido e contradditorio laboratorio di quanto avviene in Europa. Completano il quadro il film d’esordio di Matthias Huser, l’avvincente Yalom’s Cure di Sabine Gisiger, e la rilettura di Homo faber condotta da Richard Dindo”.

Leave a Comment