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INTERVISTA – Massimo De Francovich: “Che soddisfazione vincere l’Oscar! Anche il teatro è stato premiato”

Quando si ha l’arte nel sangue, non esiste età. Anche quando le candeline spente sono 78 e riesce ancora a mangiarsi il palcoscenico con l’entusiasmo di un esordiente. Quasi sessant’anni di carriera teatrale, insieme ai più grandi attori e registi di sempre. Poter parlare con Massimo De Francovich è un enorme privilegio. Soprattutto ora che ha pure partecipato al film da Oscar di Sorrentino. Un bel pezzo di quella statuetta è anche sua. 

Partiamo subito da La Grande Bellezza in cui lei ha recitato nel ruolo di Egidio. Quanta soddisfazione c’è per questo Oscar?

La soddisfazione è enorme. Io faccio un piccolo ruolo, ma sono stato contento perché Sorrentino ha scelto molti attori di teatro per fare questo film, a far da contorno alla vicenda di Toni Servillo. Mi ha fatto davvero piacere lavorare con tanti colleghi teatrali con i quali avevo già lavorato. Trovo bello questo scambio tra cinema e teatro.

Nel film di Sorrentino c’è questa grande dicotomia tra la Roma monumentale e imperiale di un tempo e il degrado della società moderna…

Sì, è un film bellissimo, ma terribile: non lascia la minima speranza. Questa impressionante e magnifica Roma notturna messa a contrasto con la miseria della società di tutti i giorni. Del resto Sorrentino nei suoi film non è mai troppo ottimista. Il montaggio è durato tre mesi, il film era molto più lungo, è stato girato tantissimo materiale in più e molto è stato tagliato. Credo sia stata un’operazione difficilissima.

De Francovich in una sequenza de "La Grande Bellezza"

De Francovich in una sequenza de “La Grande Bellezza”

Alcune critiche hanno accostato La Grande Bellezza a La Dolce Vita. Eppure non crede che il film, di felliniano, abbia soprattutto qualche punto in comune con I Vitelloni, in particolar modo nel personaggio interpretato da Servillo?

Sono completamente d’accordo. Non c’entra nulla con La Dolce Vita, quella era un bellissima favola. Questo invece è un film crudo. Il personaggio di Jep Gambardella è un po’ un vitellone. Un intellettuale vitellone diventato molto cinico, con una perdita di valori e di umanità.

Tanto è più bella Roma città, anche come patrimonio dell’arte, tanto è maggiore la disumanità dei personaggi che la vivono…

Esattamente. Leggevo proprio oggi una dichiarazione in uno scritto degli anni ‘20 di James Joyce quando, a 25-30 anni, visse a Roma per qualche tempo. Aveva un giudizio tremendo sui romani e affermava che i cittadini di Roma tirassero sempre fuori il cadavere della nonna per farlo ammirare. Io vivo a Roma e la trovo una città bellissima ma invivibile. E quella bellezza di Roma antica viene effettivamente mostrata anche nel film proprio come un cadavere.

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Com’è Toni Servillo? Al cinema avete recitato insieme anche in Viva la libertà con la regia di Andò…

Non siamo amici perché ci frequentiamo poco, ma avendo recitato insieme già due volte abbiamo capito di essere molto simili perché entrambi andiamo pazzi per la musica. È la cosa che ci accomuna di più. Toni è un uomo che sa tutto di teatro, lo conosce nel profondo. È una persona molto piacevole da frequentare, perché è un uomo colto e intelligente e quindi raro.

 Passiamo al teatro e a La Torre d’Avorio: come è stato l’incontro con Luca Zingaretti come regista?

È stato un incontro molto positivo. È la prima volta che Luca affronta la regia di teatro in una commedia abbastanza complessa. Io ho lavorato praticamente con tutti i registi italiani, giovani e meno giovani. Lui è un professionista serissimo, sapeva quello che voleva e quello che non sapeva l’abbiamo scoperto durante le prove, piano piano. Questo è il secondo anno che siamo in giro con questo spettacolo e siamo molto contenti.

Massimo De Francovich in scena con Luca Zingaretti in "La Torre d'Avorio"

Massimo De Francovich in scena con Luca Zingaretti in “La Torre d’Avorio”

Uno spettacolo incentrato sui rapporti tra potere-politica e arte. Recentemente si è parlato molto del possibile taglio dalle scuole dell’insegnamento di Storia dell’Arte: lei che ne pensa?

Senta io ho avuto mio padre che era Docente di Storia dell’Arte Medievale all’Università di Roma, quindi può immaginare come la penso… Purtroppo è così (sospira ndr.). Dissero che “con la cultura non si mangia”, una frase pesante. Ma in realtà il nostro Paese dovrebbe vivere di cultura, avrebbe anche dei ritorni economici importanti. Purtroppo è il livello di oggi, con la situazione economica difficile e complicata che c’è è lì che vanno a fare sempre i primi tagli. Per me sarebbe un delitto, che devo dire…

Il suo esordio teatrale risale al 1957 con Vittorio Gassman, quasi 60 anni di carriera teatrale. Può darci un’immagine del teatro quando lei cominciò e un’immagine di cosa è oggi il teatro per lei?

Una volta era tutto diverso. Già dal numero degli attori, eravamo molto meno, circa 1400-1500. Lavorare era più facile, naturalmente. C’erano pochissime scuole di recitazione, a Roma, a Milano. Oltre al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. I ragazzi che uscivano dalla scuola de Il Piccolo e dell’Accademia di Roma trovavano quasi immediatamente da lavorare. Una volta, prima che subentrasse la televisione, per un attore il teatro era centrale. La tv ha sicuramente portato nuovi stili di recitazione anche in teatro.

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Massimo De Francovich con Galatea Ranzi in “Strano Interludio” di Luca Ronconi

Quello che non cambia mai in teatro è la forza di un testo, di una storia, soprattutto quando resta attuale anche con il passare del tempo. Negli anni ’70 ci fu un grande florilegio di registi. Oggi penso invece che i registi hanno ormai praticamente detto tutto in teatro. Quello che serve oggi è un teatro di buona fattura, recitato bene e dove la messinscena deve risaltare al massimo la storia.

Da attore ha avuto dei modelli di riferimento?

Ho avuto la fortuna di recitare con i più grandi che oggi non ci sono più. Da giovane ho cercato di rubacchiare un po’ da uno o dall’altro. Eppure non mi sono mai riferito ad un modello, soprattutto quando bisogna interpretare un personaggio nuovo. Non è per superbia, ma perché credo che ogni attore ha un suo stile personale unico e inimitabile. Quello che invece mi hanno insegnato è il modo di lavorare in teatro, quello è importante. De Lullo, Ronconi, mi hanno insegnato molto. Perché il teatro va fatto in allegria ma con una serietà assoluta. Se si va in scena truccati e vestiti senza serietà…saremmo solo degli imbecilli. Chi te lo fa fare?!

Lei è un classe 1936. Cosa rappresenta per la sua generazione il web?

Da poco posseggo un tablet e devo dire che lo trovo fantastico perché riesco a vedere dove voglio una partita di calcio (De Francovich è un supertifoso della Roma, ndr.) o ad ascoltare la musica che più mi appassiona. Per cui non viaggio più con la radio o con i vecchi dischi (sorride ndr.). In campo artistico penso possa essere una grande risorsa in termini di idee, perché la rete, rispetto a quando ero ragazzo, riesce a superare molte barriere.

 Come vede il momento del cinema italiano?

Lo vedo bene. Ho visto tanti film buoni, anche oltre a Sorrentino. Mancano i soldi ma quello è un problema europeo. Però quando scarseggiano le risorse credo che l’attività intellettuale si attivi ancora di più. Luca Ronconi fu tacciato più volte di fare spettacoli costosissimi. Eppure probabilmente i suoi lavori migliori furono quelli che mise su con due lire. La mancanza di soldi quindi sprona l’intelligenza a trovare soluzioni più acute e fantasiose. Accontentiamoci!

 CAMERALOOK

Humphrey Bogart ne Gli ammutinati del Caine (USA 1954, regia di Edward Dmytryk, ndr.). Un bellissimo film tratto da una commedia che vidi anche in teatro. Lui interpreta un generale in marina soprannominato il vecchio Macchiagialla perché butta in mare del petrolio giallo per farsi ritrovare dai tedeschi. Nella sequenza del processo c’è Bogart che da seduto fa un monologo di una decina di minuti senza stacchi con lo sguardo dritto in macchina. Mi impressionò moltissimo, una vera lezione di cinema.

Intervista di Giacomo Aricò e Tommaso Montagna

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