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Islanda e pecore nel Rams di Grímur Hákonarson

In una remota valle agricola islandese, due fratelli che non si parlano da quarant’anni devono unire le forze per salvare la cosa a cui tengono di più: il loro gregge. È questa la trama di Rams – Storia di Due Fratelli e Otto Pecore, il film diretto da Grímur Hákonarson vincitore della sezione Un Certain Regard all’ultimo Festival di Cannes 2015. Da giovedì 12 novembre sarà nelle nostre sale.

In una valle islandese isolata, Gummi e Kiddiley vivono fianco a fianco, badando al gregge di famiglia. I due fratelli vengono spesso premiati per le loro preziose pecore appartenenti a un ceppo antichissimo. Benché dividano la terra e conducano la stessa vita, Gummi e Kiddi non si parlano da quarant’anni.

Quando una malattia letale colpisce il gregge di Kiddi, minacciando l’intera vallata, le autorità decidono di abbattere tutti gli animali della zona per contenere l’epidemia. Accerchiati dalle autorità, i due fratelli dovranno unire le forze per salvare la loro speciale razza ovina – e se stessi – dall’estinzione. Vi proponiamo di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal regista, Grímur Hákonarson.

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A che cosa si è ispirato quando ha deciso di raccontare la storia di due fratelli che non si parlano più da quarant’anni e del loro gregge?

Il film è basato in buona parte sulle mie esperienze con la popolazione e la cultura rurali in Islanda. Entrambi i miei genitori sono cresciuti in campagna e mi ci spedivano tutte le estati, a lavorare, finché non ho compiuto 17 anni. Per questo credo di avere maturato una certa conoscenza delle storie, dei personaggi e della fisionomia di quelle zone. Sono sempre stato attratto dalle storie di campagna e Rams non è il primo film che giro in quel contesto. Mio padre lavorava per il Ministero dell’agricoltura e questo mi ha aiutato a capire come funzionava l’amministrazione delle zone agricole e com’è cambiata e si è evoluta nel tempo.

Al centro del film ci sono le pecore…

Nel nord dell’Islanda, come in altre zone rurali dell’isola, fino alla fine del Novecento l’allevamento di ovini ha costituito il mezzo principale di sostentamento della popolazione e una componente fondamentale della cultura contadina. Così, in un certo senso, per molti islandesi le pecore restano sacre: rappresentano l’orgoglio e la tradizione nazionale. Nel corso dei secoli, gli ovini hanno avuto un ruolo chiave nella sopravvivenza del mondo agricolo islandese e sono profondamente radicati in questa terra e intimamente legati al suo spirito. Ma al di là dell’allevamento, c’è qualcosa di speciale nelle pecore. Quasi tutti gli allevatori che conosco hanno un rapporto più stretto col loro gregge che con qualsiasi altro animale domestico. E’ questo il mondo che volevo raccontare nel film. Gente che vive sola col suo gregge, in mezzo alla natura, e sviluppa un forte legame emotivo coi suoi animali. E’ diventata una cosa sempre più rara nella società moderna: gli individui come i miei due protagonisti – Gummi e Kiddi – stanno scomparendo e io credo che sia un peccato. Mi piacciono le cose eccentriche, e vorrei che il loro stile di vita continuasse a esistere, anche nel mondo moderno.

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Gummi e Kiddi,  i due protagonisti, sono allevatori, vicini di casa e fratelli, ma non si parlano da quarant’anni…

I conflitti tra vicini sono molto comuni nelle campagne islandesi. Gli islandesi sono persone testarde e indipendenti, vogliono cavarsela da soli e sono diffidenti di tutto quello che arriva da fuori. Solo che questa indipendenza di pensiero, a volte, va contro ogni logica. Le ragioni delle dispute sono diverse, ma la gente litiga soprattutto per la terra, per questioni di eredità o per faccende amorose. E’ una situazione tragica, quella che si crea quando persone che vivono in luoghi così isolati, in piccolissime comunità, non parlano più con i loro vicini. Ma al tempo stesso c’è qualcosa di comico. Due fratelli che vivono fianco a fianco in una vallata dell’entroterra, ma non si rivolgono la parola. Non hanno nessun’altro con cui parlare, tranne i loro animali, ma sono così orgogliosi che nessuno dei due vuole cedere per primo. E’ un’ottima premessa per un film tragicomico o per un dramma pieno di umorismo freddo islandese. Ed è esattamente il tipo di storia da cui mi sento attratto.

Come ha scoperto la “scrapie” – un virus letale che colpisce gli ovini – e perché ha deciso di farne il perno del film?

La scrapie ovina (della stessa famiglia della BSE, la cosiddetta “mucca pazza”) è la malattia più dannosa che le campagne islandesi abbiamo mai dovuto affrontare. E’ un virus incurabile che attacca il cervello e la spina dorsale delle pecore, ed è altamente contagioso. Originariamente, la malattia è arrivata in Islanda alla fine dell’Ottocento, portata da greggi inglesi, e non è stata del tutto debellata. Ho cominciato a chiedermi come sarebbe stato per un allevatore senza famiglia e con un unico gregge, essere costretto ad abbattere tutti i suoi animali. Nel film, la vicenda prende le mosse da un’epidemia di scrapie che colpisce la valle in cui si trova la fattoria dei protagonisti. I due fratelli scoprono di avere un interesse e un obiettivo comuni: la sopravvivenza del loro gregge di pecore appartenenti a un’antichissima razza ovina. Sono due esseri umani che cercano di salvare dalla distruzione la cosa che gli è più cara. Per loro è il bestiame, ma potrebbe essere qualsiasi altra cosa. In questo senso, credo che sia una storia di carattere universale.

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Come è riuscito a trovare un equilibrio tra umorismo e profonda umanità, per raccontare una storia ambientata in un ambiente naturale così estremo?

Per certi versi questo film è molto scandinavo, col suo mix di dramma e umorismo nero. Confesso che io stesso tendo all’umorismo nero, cosa che traspare anche dai miei film. Credo che Rams possa essere paragonato a certe pellicole nordiche recenti, come Storie di Cucina – Kitchen Stories di Bent Hamer e Noi Albinoi di Dagur Kári, per fare un paio di esempi. Ma anche se il nostro film può essere considerato  una commedia nera, è anche una storia universale in cui tutti possono identificarsi. L’elemento thriller non era previsto, all’inizio, ma credo che la posta in gioco per i due protagonisti sia talmente alta che la suspence è inevitabile. Sviluppando la sceneggiatura, poi, ho sottolineato questo aspetto perché ero convinto che avrebbe reso più avvincente il film.

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