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Ragazzi cresciuti a Napoli, tra sogno e disillusione, alla ricerca de Le Cose Belle

Dopo i numerosi premi vinti in Italia e all’estero (ultimi in ordine di tempo il riconoscimento speciale ai Nastri d’Argento e il Premio Cariddi come miglior documentario dell’anno del Taormina Film Fest), Le Cose Belle di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno uscirà oggi 26 giugno nelle sale italiane, distribuito da Istituto Luce Cinecittà. Le Cose Belle è un “film dal vero” che mostra la fatica e la bellezza di crescere al Sud attraverso le storie di quattro giovani – Adele, Enzo, Fabio e Silvana – raccontati in due momenti fondamentali delle loro esistenze: la prima giovinezza nella Napoli piena di speranza del 1999 e l’inizio dell’età adulta in quella paralizzata di oggi.

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Il film è infatti il frutto di un ritorno ai luoghi e ai protagonisti del film Intervista a mia madre: quando Ferrente e Piperno lo girarono, nel 1999, chiesero a quattro ragazzi come immaginassero il proprio futuro: i ragazzi risposero con gli occhi pieni di quella luce speciale che solo a quell’età possiede chi ancora sogna “le cose belle” e con quell’autoironia tipica della cultura partenopea che li aiuta a sdrammatizzare, esorcizzare e talvolta rimuovere gli aspetti problematici della loro vita. Al tempo stesso da quegli occhi traspariva una traccia di scaramantico disincanto.

Adele

Adele

Dieci anni dopo, passando dalla Napoli del rinascimento culturale, che attirava artisti da tutto il mondo, a quella sommersa dall’immondizia, i registi sono tornati a filmare i loro quattro protagonisti per un arco di quattro anni: oggi l’autoironia ha ceduto il posto al realismo, e alle “cose belle” Fabio, Enzo, Adele e Silvana non credono più. O forse hanno imparato a non cercarle nel futuro o nel passato, ma nell’incerto vivere della loro giornata, nella lotta per un’esistenza, o sarebbe meglio dire resistenza, difficile ma dignitosa: spesso nuotando controcorrente, talvolta lasciandosi trasportare. La fatica e la bellezza di crescere al Sud in un film dal vero che narra tredici anni e che mescola il tempo della vita ed il tempo del cinema. “Ci siamo innamorati dei nostri personaggi e abbiamo voluto raccontarli. Come fiori tra le rovine” spiegano i due registi. La dignità dei giovani e le responsabilità degli adulti in una Napoli, immersa in quel suo tessuto magmatico, dove il bene e il male vivono in prossimità, dando un volto alla complessità dell’esperienza umana.

Fabio

Fabio

Nel 1999, il documentario Intervista a Mia Madre aveva delle scadenze: solo sei settimane a disposizione prima della messa in onda su Rai Tre. Tolte le prime due, impiegate per trovare i protagonisti, le restanti quattro erano davvero poche “per raccontare quattro vite: da allora ci è sempre rimasto il desiderio di poter approfondire di più, anche perché quando si filma la vita di una persona, il rapporto che si crea tra chi filma e chi è filmato è essenziale” raccontano i due registi. Un rapporto di reciproca fiducia in cui ognuno mette se stesso nelle mani dell’altro: il regista mette il suo film nelle mani dei suoi protagonisti e questi affidano al regista il racconto di una parte delle loro vite. “Con il passare del tempo è cresciuta in noi la sensazione di aver avuto una qualche responsabilità nel destino di questi ragazzi diventati adulti”. Così, nel 2009, anche con un piccolo finanziamento dalla Regione Campania, furono messe in piedi una prima tranche di nuove riprese che poi, sia per scelta artistica che per difficoltà finanziarie, sono state ultimate nell’arco di quattro anni.

Silvana

Silvana

Nel riavvicinarci ad Adele, Enzo, Fabio e Silvana ci rendemmo subito conto di non essere riusciti – anche se non era certo nostro compito – a “salvarli” dalla catastrofe della loro città, dove ogni speranza di rinascita era stata, ancora una volta, delusa: le loro esistenze sembravano ferme, cristallizzate, senza prospettive di miglioramento. Questo ci creò un disagio palpabile, direttamente collegato al dolore per la loro condizione ma anche per quella di una città che ci aveva adottati e che ormai stava andando alla deriva sotto gli occhi del mondo. Avevamo anche paura di “speculare” cinematograficamente su tutto questo, sull’immagine – diffusa a livello internazionale, anche grazie al successo del romanzo e del film Gomorra – di una Napoli ostaggio dell’immondizia e del sistema di ecomafia che la gestiva”.

Enzo

Enzo

Ma la paura e il disagio si sono poi affievoliti, fino a sparire “grazie alla loro forza vitale, all’indisponibilità ad arrendersi, alla dignità con cui cercavano di rimanere a galla. E se da una parte certi sguardi spenti e privi di sogni ci sembravano la conferma di come tutto fosse andato come previsto, dall’altra quegli stessi sguardi ci comunicavano la fine dell’innocenza e l’inizio di una disincantata consapevolezza”. Così i due ragazzini sono diventati uomini, così diversi tra loro ma ugualmente legati dalla precarietà del lavoro, mentre le due ragazze adolescenti sono diventate donne (una delle due mamma di una bimba, l’altra mamma “adottiva” di sua madre e dei suoi fratelli).

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Le Cose Belle è un film autonomo, che riprende il cammino del documentario del ’99: “la scommessa è stata quella di mostrare il quotidiano con uno sguardo più “cinematografico”, provando a raccontare eventi, situazioni e stati d’animo senza interviste, con i personaggi che non guardano in macchina, con la costante ricerca di una drammaturgia, agita e non raccontata”. Un documentario ‘di creazione’, che ha comportato non pochi problemi al montaggio in cui occorreva amalgamare in un unico stile le nuove riprese effettuate dal 2009 al 2012 e agganciare il materiale girato nel 1999 e rimontato all’occorrenza. Tutte queste difficoltà sono state però controbilanciate da un privilegio: “nel cinema di finzione, per raccontare gli stessi personaggi in età diverse delle loro vite si ricorre ad attori somiglianti o ad impegnativi interventi di make-up, nel nostro caso i quattro protagonisti sono gli stessi, cresciuti di dodici anni e il make-up è quello curato dalla vita stessa”.

“Si dice che il tempo aggiusti tutto… Ma chissà se il tempo esiste davvero? Forse il tempo è solo una credenza popolare, una superstizione, una scaramanzia, un trucco, una canzone. Il tempo si passa a immaginare, ad aspettare, e poi, all’improvviso, a ricordare. Ma allora, le cose belle arriveranno? O le cose belle erano prima?”

Le Cose Belle

 

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