© COPYRIGHT FOTO: DONATO AQUARO

Valerio Binasco porta in scena il Don Giovanni di Molière

© COPYRIGHT FOTO: DONATO AQUARO

Dall’8 al 20 gennaio al Teatro Argentina di Roma in scena il leggendario seduttore, Don Giovanni di Molière, simbolo non soltanto dei trionfi e delle ceneri dell’eros, ma anche della rivolta della libido contro le remore della teologia, nella versione diretta da Valerio Binasco, regista che ha saputo imporre una cifra stilistica di grande originalità pur nel rispetto del testo del maestro francese. Una commedia in prosa, in cinque atti, con protagonista un eroe-criminale solitario (interpretato da Gianluca Gobbi), che non teme di portare avanti la sua sfida contro Dio. Un profondo atto di rivendicazione del diritto a cercare la propria libertà.

© COPYRIGHT FOTO: DONATO AQUARO

© COPYRIGHT FOTO: DONATO AQUARO

Comparso per la prima volta nel dramma di Tirso de Molina El Burlador de Sevilla y Convidado de Piedra, è con Molière che acquisisce spessore e si traduce in mito della letteratura europea. Il 1665 è l’anno di una nuova offensiva del drammaturgo francese contro la morale dei benpensanti, cui seguirà una nuova, violenta risposta da parte del “partito dei devoti”. L’occasione si presenta con la sua opera teatrale, Don Giovanni, che riprende il tema della religione già affrontato nel Tartufo. Molière seziona il tema della religione e della sua funzione nella morale e nella società. Il suo libertinaggio non è che una declinazione estrema della ricerca di libertà: anche nel momento in cui tale ricerca sfocia nell’ateismo e blasfemia.

La difesa dei principi della religione e delle verità della fede viene assunta da Sganarello (interpretato da Sergio Romano), servitore ridicolo, che svilisce gli argomenti che tocca, inducendo a una caricaturale confusione tra religione e superstizione. Neanche la figura del Convitato di pietra, né il finale morale imposto dalla tradizione, riescono a riequilibrare la propensione degli spettatori verso l’immagine del libertino, immorale ed empio.

© COPYRIGHT FOTO: DONATO AQUARO

© COPYRIGHT FOTO: DONATO AQUARO

Ed è proprio su quegli spettatori che si concentra la regia di Valerio Binasco:

Non credo che il teatro contemporaneo debba parlar di temi attuali o adottare un linguaggio ricalcato sulla realtà contemporanea. Mi pare che niente si affacci sulla nostra vita più di certi testi che sono stati capaci di resistere al tempo e di rimanere contemporanei. Mi colpisce il fatto che Don Giovanni cerchi, con i suoi comportamenti e crimini pericolosissimi, di mettere a tacere quella sorta di incubo che è nascosto in lui e che urla nella sua solitudine”.

L’incubo della morte: penso sia questo quello a cui si ribella Don Giovanni, che sprigiona in lui un vitalismo incontrollato, che lo porta poi a distruggere ogni cosa e ogni relazione. Con questo Don Giovanni ci allontaniamo dalla tradizione recente che ci ha abituati a un protagonista emaciato, pre-esistenzialista, malinconico e cerebrale, in linea con le riletture novecentesche di Don Giovanni. Così a partire dal protagonista ho deciso di lasciar perdere il Cavaliere Spagnoleggiante della prima tradizione, così come la figura vampiresca e tardoromantica che fu cara agli intellettuali del secolo scorso”.

© COPYRIGHT FOTO: DONATO AQUARO

© COPYRIGHT FOTO: DONATO AQUARO

Il regista aggiunge:

Per quanto mi riguarda si tratta solo di divagazioni lontane da quella cosa che io chiamo “vita”. Cosa cerco? Cerco proprio Lui, il protagonista di questa storia, come posso immaginare che sia stato prima che nascesse la sua leggenda. Lo cerco nella vita, più che nel testo. Se lo cerco nella tradizione, Don Giovanni non c’è, c’è un fantasma letterario al suo posto. Se lo cerco nella realtà che mi sta intorno, Don Giovanni è poco più di un delinquente, un autentico delinquente, non un borghese che si atteggia. È il risultato di un eccesso di desideri compulsivi e viziosi, che egli coltiva con il preciso scopo di stare bene con se stesso, e non di autopunirsi in modo estetico (come nella tradizione vampiresca novecentesca), né di fare la rivoluzione culturale. Ma con una caratteristica: la propria scarsa consapevolezza di chi egli sia realmente nell’anima. Questo suo “non percepirsi” nel profondo, questo rifiuto a priori di considerare degno di interesse la coscienza di sé, è una condizione psicologica molto contemporanea, teatralmente interessante, poco indagata”.

Leave a Comment