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Willem Dafoe è il Van Gogh di Julian Schnabel, sulla soglia dell’eternità

Il regista-pittore Julian Schnabel racconta gli ultimi, tormentati anni dell’irrequieto pittore olandese Vincent Van Gogh in Van Gogh – Sulla Soglia Dell’Eternità, il film in cui il genio “maledetto” è stato magistralmente interpretato da Willem Dafoe, premiato alla Mostra d’arte Cinematografica di Venezia con la Coppa Volpi per il Miglior attore. Sulla Soglia Dell’Eternità – in uscita al cinema il prossimo 3 gennaio – è un film sulla creatività e sui sacrifici del genio olandese, sull’intensità febbrile della sua arte, sulla sua visione del mondo e della realtà.


Il film

Vincent Van Gogh (Willem Dafoe) viene raccontato dal burrascoso rapporto con Paul Gauguin (Oscar Isaac) a quello viscerale con il fratello Theo (Rupert Friend), fino al misterioso colpo di pistola che gli ha tolto la vita a soli 37 anni. Tra conflitti esterni e solitudine, un periodo frenetico e molto produttivo che ha portato alla creazione di capolavori che hanno fatto la storia dell’arte e che continuano ad incantare il mondo intero. La storia raccontata da Julian Schnabel intende mostrare dall’interno come ci si senta nel momento della creazione di un’opera (quel momento magico, viscerale e violento che sfugge ad ogni definizione e cancella il tempo), la fatica fisica e la dedizione assoluta che caratterizzano la vita di un artista, in particolare quella di un pittore.

Arte e visione della vita

Il risultato è un’esperienza cinematografica caleidoscopica e sorprendente, che tratta tanto del ruolo dell’artista nel mondo, della sua vita e della sua impronta eterna, quanto della bellezza e della meraviglia che Van Gogh – inconsapevole del suo impatto sulle generazioni future – ci ha lasciato. Per Schnabelil ritratto di Van Gogh che emerge dal film deriva direttamente dalle mie reazioni ai suoi quadri, non da quello che è stato scritto su di lui”. Per il regista, Van Gogh è diventato un prisma attraverso il quale riscoprire l’instancabile anelito dell’uomo ad esprimersi e a comunicare. Il film attinge a lettere, biografie, leggende delle quali tutti hanno sentito parlare, anche se in fondo si tratta di un lavoro di pura immaginazione, un’ode allo spirito artistico e a coloro che hanno convinzioni così assolute da dedicarvi tutta la loro vita.

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L’Arte supera la Morte

I quadri e i disegni di Van Gogh rivelano il punto di vista di qualcuno lontano dalla società ma immerso nella natura. Schnabel ha ripercorso i suoi passi e il suo cammino, anche fisicamente faticoso, per poter vedere quello che lui ha visto. Il silenzio è importante quanto i dialoghi, i paesaggi sono importanti quanto i ritratti. Dice infatti Schnabel: “tutti abbiamo una malattia terminale che si chiama vita. La pittura è una pratica che in un certo senso affronta la morte, perché è connessa alla vita ma in modo diverso, riuscendo a farti accedere ad un’altra dimensione. L’arte può superare la morte. Nel film il pubblico di Vincent non è ancora nato, ma questo non gli impedisce di fare quello che sente di dover fare. Quando lo osservi in mezzo ad un campo, sorridente, mentre si butta addosso la terra, non è un pover’uomo. È un uomo che sente di essere al posto giusto al momento giusto, in perfetta sintonia con la vita”.

L’atto del dipingere

Nonostante siano stati realizzati numerosi film, special televisivi, documentari e serie tv su Van Gogh, nessun film o programma aveva colpito Schnabel in quanto pittore. Per il regista era fondamentale che il film fosse incentrato sull’atto concreto di porre il colore sulla tela: “l’atto del dipingere doveva essere autentico, e volevo fare un film che riproducesse fedelmente ciò che i pittori pensano e anche quale sia il rapporto di noi artisti con altri pittori, compresi quelli che sono vissuti prima di noi”.

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Willem ispirato

Straordinario interprete del genio è stato Willem Dafoe: “penso che molti di noi siano convinti di sapere molto su Van Gogh. Ma non è vero – afferma l’attore – più leggevo, più lo sentivo come una fonte di ispirazione. Sono rimasto particolarmente colpito da tutto quello che scriveva nelle sue lettere”. Julian Schnabel voleva che Dafoe dipingesse davvero nel film – non che imitasse i movimenti del pittore ma che si misurasse effettivamente sul piano fisico, emotivo ed istintivo con le tele, per dar vita sullo schermo a qualcosa di nuovo. “Questo è un film che parla tanto di pittura quanto di Van Gogh, per cui gran parte del lavoro per me è consistito nell’imparare a dipingere, e ancor di più nell’imparare a osservare”, spiega Dafoe.

Dafoe pittore

Willem Dafoe spiega bene questo aspetto: “in modo molto concreto mi ha fatto accostare più profondamente alla realtà di Vincent, perché mi ha fatto scoprire com’è assistere ai mutamenti della percezione che avvengono mentre lavori. Mi ha fatto comprendere meglio alcuni aspetti dell’arte che pensavo di conoscere già ma che in realtà non sapevo. Ho imparato come toccare una tela, come accostarmi al colore, quali strategie adottare e come poi abbandonare ogni strategia. Soprattutto ho capito che la pittura è una combinazione di ispirazione, impulso, tecnica, esercizio e poi abbandono dell’esercizio. Una delle cose che mi piace di più del film è che riesce a documentare parte di questo processo, una cosa che raramente ci è dato di vedere”.

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L’unione con Dio

Willem Dafoe ha avuto in mente il desiderio di Van Gogh di sentirsi in comunione non solo con gli amici, i vicini o gli altri artisti, ma con quello che per lui era Dio, qualcosa di cui l’artista ha scritto durante tutta la sua vita. “credo che Vincent sentisse di aver trovato il suo contatto diretto con Dio attraverso la natura – conclude l’attore – ed è un aspetto sul quale ho concentrato molto la mia attenzione. In lui era fortissimo il desiderio di arrivare a Dio attraverso il colore, la luce, la prospettiva, attraverso la capacità di reagire pienamente al paesaggio e al mondo che lo circondava. Cercava di catturare una realtà che lui sentiva più vicina a Dio di quanto normalmente riusciamo a percepire”.

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