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CAMERA PSYCHO – Marnie per sempre…

Rivedere un thriller di cui già conosci la trama e il finale a sorpresa dovrebbe ridurre la suspance e l’interesse dello spettatore. Non è così per Marnie di Alfred Hitchcock che, in occasione del 50° anniversario della sua uscita negli Stati Uniti nel maggio del 1964, è tornato in una edizione speciale Blu-Ray corredata da documentario, foto di scena e il trailer dove il regista racconta il suo film. Per la stessa celebrazione, anche il romanzo di Winston Graham, da cui è stata tratta la sceneggiatura dallo stesso Hitchcock e da Jay Presson Allen, viene pubblicato in ristampa da Il Saggiatore edizioni.

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A distanza di ormai tanti anni, questo film continua a turbare profondamente con nuovi particolari e dettagli da cogliere che, ad una prima visione, forse si erano persi. Nuove interpretazioni si fanno spazio in una trama narrativa densa di contenuti e di significati. Ciò che più mi colpisce è riscontrare che i momenti scenici, volutamente già obsoleti quando il film è stato girato, siano quelli che lo rendono ancora coinvolgente e intramontabile. Mi riferisco a quegli elementi che Hitchock deve aver preso dal cinema espressionista tedesco del primo Novecento, allo stile onirico che vuole rappresentare in contrasto con la realtà oggettiva la percezione soggettiva ed alterata della realtà come è nel vissuto della protagonista.

I primi piani dei suoi nemici, gli aggressori, con effetti persecutori, del suo volto specchio del suo Sé, a volte ribelle, trionfante, ambiguo, per lo più vittimizzato e devastato dall’angoscia. Lo spazio è spesso ricostruito e innaturale con fondali dipinti di derivazione teatrale, la luce rossa a simbolizzare il sangue che illumina lo schermo o il rosso che lo riempie completamente come un monocromo. Non si vuole rappresentare il sangue ma simbolizzare la carica emotiva che invade la psiche di Marnie. Il movimento viene così bloccato per assumere la stessa fissità del trauma nel suo inconscio.

Marnie e il colore rosso, quando riaffiora il trauma

Marnie e il colore rosso, quando riaffiora il trauma

La nave, disegnata nel fondale dell’ultima scena, così come la strada di Baltimora dove abita la madre, e dove tutto ha avuto inizio sono completamente irreali : lì la vita si è fermata, da lì dovrebbe ripartire. A segnare il cambiamento, il passaggio da un temporale – anch’esso fittizio accompagnato da una colonna sonora tumultuosa (composta da Hermann) per amplificare lo spessore emozionale della scena – ad un cielo sereno con una musica dolce e pacificatrice con bambini fanno il girotondo cantando.

Nella casa della madre viene resuscitato il ricordo specifico del fatto traumatico che lì era avvenuto nell’infanzia di Marnie e da cui si è originata la nevrosi, lasciando defluire la carica emotiva connessa e liberando le emozioni che hanno trovato vie anomale di sfogo attraverso la manifestazione dei sintomi. Il metodo terapeutico catartico del primo Freud consisteva proprio nella liberazione di impulsi emotivi inibiti rimossi rimasti incapsulati che si manifestano in una periodica ripetizione allucinatoria del trauma. I fatti del passato rimangono sempre attuali e di fronte alla scena allucinatoria si rivivono lo sgomento e l’angoscia vissuti di fronte al fatto originario.

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Hitchcock attinge a piene mani dalla psicoanalisi nella sceneggiatura del film e nella caratterizzazione dei personaggi, per questo Marnie è stato definito giustamente un thriller psicologico più che un poliziesco o una romantica storia d’amore. Il contenuto è forse eccessivamente carico di simbolismi. Indimenticabile la scena iniziale nella quale una giovane donna, ripresa di spalle con vistosi capelli neri, una valigia e una grande borsa gialla, in primissimo piano, sottobraccio cammina lungo un binario deserto alla stazione. La borsa tenuta stretta è la sua sessualità negata e mai concessa, il contenuto sono i soldi sottratti con l’inganno al suo datore di lavoro, il padre che l’ha lasciata, per vendicarsi con tutto il genere maschile che le ha fatto solo male e per appropriarsi di quel poco di buono che le può dare. Ora è lei a ingannare, catturare con il suo fascino, depredare e abbandonare fuggendo e cambiando identità.

Il cameralook di Marnie che si tinge i capelli di biondo

Il cameralook di Marnie che si tinge i capelli di biondo

La scena successiva, parimenti indimenticabile, è quella in cui i capelli neri scoloriscono nel lavandino e il gesto del capo all’indietro la rivela bella, bionda e trionfante. Marnie, nella valida interpretazione di Tippi Hedren, come si chiarirà ulteriormente nel corso della storia, è una ladra compulsiva, bugiarda, priva di scrupoli, ma anche fragile afflitta da un grave disagio psicologico che si manifesta in fobie (il colore rosso e i temporali) attacchi di panico, incubi notturni, allucinazioni. Il denaro rubato, si tratta di piccole somme, lo spende per la madre e per montare un purosangue, Florio: sono i suoi amori.

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Nel cavallo, secondo una interpretazione edipica, c’è l’amore ricambiato per un padre buono e il piacere erotico della cavalcata. Con la madre fredda, rifiutante e anaffettiva, troviamo la ricerca infinitamente riproposta e mai soddisfatta di un amore che non c’è e forse non c’è mai stato. La madre ha mai amato la piccola Marnie? E se sì perché ha smesso di amarla? È proprio lei che ha alimentato nella figlia l’avversione per gli uomini, un pericolo dal quale si deve solo fuggire.

Tippi Hedren (Marnie) e Louise Latham, che interpreta sua madre

Tippi Hedren (Marnie) e Louise Latham, che interpreta sua madre

Nella vita della protagonista entra però un uomo, Mark Rutland interpretato da Sean Connery con tutta la sensualità che trasmetteva la sua fisicità un po’ animalesca. È forte, saldo, influente, potente, socialmente affermato, presidente di una società editrice di Philadelphia. Si interessa di zoologia, di prede e predatori, di caccia e cattività. Ha addomesticato un giaguaro e ora si dedicherà ad una conquista ancora più difficile e interessante. Il rapporto tra Mark e Marnie ha connotazioni sadiche basate sul possesso e sulla competizione. Chi ama per possesso non ama propriamente l’altro, ma solo il proprio potere sull’altro e l’amato intrappolato, come Marnie, nell’amore-possesso può giocare con il desiderio dell’altro esaltandolo o deludendolo e rovesciando il rapporto di potere. Mark spinto dalla sua ossessione diventa detective, poliziotto, amante e psicoanalista, un po’ dilettante ma efficace, almeno nella resa scenica.

Sean Connery

Sean Connery

Il film prosegue incorniciato da atmosfere americane del tempo, case e automobili lussuose, navi da crociera, ricevimenti, caccie alla volpe. Proprio durante una caccia Marnie, in preda all’angoscia, fuggirà azzoppando e poi uccidendo con la pistola il suo cavallo Florio. Devastata dal dolore dirà: “Ecco. Ecco fatto“. Ha fatto ciò che doveva e ripete le stesse parole nella scena finale quando ricorda di aver ucciso lei stessa bambina il marinaio che faceva male alla sua mamma. Marnie saprà che la madre era una prostituta del porto e la madre saprà che la ragazza onesta che credeva di aver cresciuto è una bugiarda e una ladra. Ma chi si sente di condannarle?

Loro stesse si perdonano, hanno sofferto, hanno espiato, la verità le ha liberate. Interessante la frase della protagonista alla sua mamma che ancora non riesce a toccarla ad accarezzarle i capelli: “Devi avermi davvero voluto bene“. Ora non conta più. Dopo si salutano con un arrivederci che sembra un addio. Non c’è più niente da cercare nella casa di Baltimora.

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Marnie, docile, dice a Mark che vuole stare con lui che è diventato per lei un oggetto Sé materno e protettivo. Non lo vedo in questo ruolo, penso che la sua passione per la caccia potrebbe avere il sopravvento e spingerlo verso nuove conquiste, ma è dolce e rasserenante alla fine immaginarseli dopo tanti tormenti insieme, felici per sempre.

Claudia Sacchi

 

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