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Denys Arcand chiude il cerchio con La Caduta Dell’Impero Americano

Dopo Il Declino dell’Impero Americano e Le Invasioni Barbariche, il Premio Oscar Denys Arcand chiude la sua trilogia satirica sull’Occidente in crisi con un irresistibile “polar” venato di commedia: il 24 aprile arriva al cinema La Caduta Dell’Impero Americano.

Il film

Pierre-Paul (Alexandre Landry) ha 36 anni e nonostante un dottorato in filosofia deve lavorare come fattorino per tirar su uno stipendio appena decente. Un giorno, durante una consegna, si ritrova suo malgrado sulla scena di una rapina finita male, che lascia sull’asfalto due morti e altrettanti borsoni pieni di soldi. Cosa fare? Restare a mani vuote o prenderli e scappare?

Il dubbio dura una frazione di secondo, giusto il tempo di caricare il malloppo sul furgone. Ma i guai sono appena iniziati: sulle tracce del denaro scomparso, infatti, ci sono due agenti della polizia di Montreal ma soprattutto le gang più pericolose della città. Per uscire da un sogno che rischia di diventare un incubo, Pierre-Paul dovrà fare gioco di squadra con un team di improbabili complici: una escort che cita Racine (Maripier Morin), un ex galeotto appena uscito di prigione (Rémi Girard) e un avvocato d’affari esperto di paradisi fiscali (Pierre Curzi). Insieme, scopriranno che i soldi non danno la felicità. O forse sì?

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Denys Arcand

Lasciamo spazio ad un estratto dell’intervista rilasciata da Denys Arcand.

La Caduta Dell’Impero Americano è il terzo capitolo di un ciclo e potrebbe non essere l’ultimo…

Non si può mai sapere come nascono i progetti. Inizialmente non avevo alcuna intenzione di cimentarmi con una trilogia, men che meno di protrarla nel tempo. Del resto, in origine, La Caduta Dell’Impero Americano si intitolava Le Triomphe de L’Argent (lett. Il Trionfo Del Denaro) – titolo che poi mi è parso in definitiva troppo scontato e troppo riduttivo. Durante il montaggio, mi è venuta l’idea di collegarlo ai miei due film precedenti, quando mi sono reso conto di quanto fossero evidenti i punti in comune tra i tre lavori.

In questa trilogia, lei esplora tre delle tematiche fondamentali della vita: il sesso ne Il Declino Dell’Impero Americano, la morte ne Le Invasioni Barbariche e il denaro in questo film…

Con la triste constatazione che è quest’ultimo ad avere vinto. Abbiamo allontanato la morte, ci stiamo distaccando dal sesso, quanto meno lo stiamo mettendo in secondo piano. Oggi come oggi, solo il denaro regna sovrano.

Non era così nel 1986, quando ha girato Il Declino Dell’Impero Americano?

Non così tanto. La gente rivendicava soprattutto il diritto al piacere. Lottava per la libertà, l’amicizia, la fratellanza, il mangiare bene e quant’altro… Il denaro era importante, ma non fondamentale.

La caduta dell'impero americano 2 (c)Eduardo-Urrutia

(c)Eduardo-Urrutia

Uno dei suoi personaggi collegava il declino dell’impero americano – di fatto il declino di tutte le nostre società occidentali – alla volontà esacerbata di perseguire la felicità individuale…

Che cos’è una società se non un gruppo di persone che hanno un obiettivo comune e camminano nella stessa direzione? Risulterebbe molto difficile mobilitare in una nobile causa degli individui la cui esistenza si riduce alla vicina di casa che intendono rimorchiare il fine settimana successivo o alla ricetta che sceglieranno per cucinare il pesce la sera. A partire dal momento – ed è quello che mostravo ne Il Declino – in cui scegli di fare parte di un clan totalmente indifferente alla vita della comunità, provochi immancabilmente l’indebolimento e poi la distruzione della società. Ma è un processo che può durare anni ed essere molto piacevole da vivere…

Quali sentimenti le ispirano oggi quei personaggi?

Una tenera lucidità. Attraverso loro parlavo di me stesso e delle persone che mi circondavano e di cui condividevo la vita…

In quella pellicola, le donne parlavano della dimensione del pene, gli uomini si lamentavano del clitoride «a volte tanto difficile da trovare quanto un ago in un pagliaio». Potrebbe girare lo stesso film oggi?

L’anno scorso, una compagnia teatrale ha riproposto il testo in teatro, riscotendo un enorme successo. Sono rimasto stupito – e incantato – nel vedere tanti giovani spettatori sbellicarsi dalle risate negli stessi momenti in cui i loro genitori ridevano fino alle lacrime un tempo nelle sale cinematografiche. Potrei rigirare quel film adesso? Non ne sono sicuro. Regna uno strano clima, assurdo e malsano. Siamo entrati in un’epoca di catastrofico moralismo. Peraltro, è un tema che conto di trattare nel mio prossimo film.

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Quale è stata la sua principale preoccupazione girando La Caduta Dell’Impero Americano?

Il ritmo! È una delle regole chiave del genere poliziesco: è fondamentale che scorra veloce, bisogna eliminare le scorie. La sequenza in cui seguiamo il percorso del denaro nei diversi paradisi fiscali all’inizio era più lunga e più complessa. In fase di montaggio, ho capito che per lo spettatore era importante che il denaro arrivasse in Svizzera il più rapidamente possibile. Del poliziesco mi piace anche il rigore: prendi un personaggio e lo segui evento dopo evento, incontro dopo incontro. Avanzi insieme a lui, diventa il filo rosso di una storia che è lui a tessere a suo piacimento.

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