(Photo Credit:  R. Arpajou)

France, Léa Seydoux tra media digitale e vita reale nella satira sociale di Bruno Dumont

(Photo Credit: R. Arpajou)

Léa Seydoux è la protagonista di France, il film diretto da Bruno Dumont – da giovedì 21 ottobre nelle nostre sale – che ha realizzato una satira sociale che riflette sulla nostra società sempre più iperconnessa, digitalizzata, slegata dalla realtà.

Il film

France de Meurs (Léa Seydoux) è una brillante giornalista, sempre di corsa fra una diretta televisiva, una guerra in paesi lontani e il trambusto della sua vita privata. Il suo mondo scintillante sembra però crollare dopo un banale incidente stradale. Questa inaspettata irruzione della realtà le fa rimettere in discussione tutta la sua vita. France tenta di rifugiarsi nell’anonimato ma la sua fama la rincorre. Fino a quando un nuovo amore sembra mettere fine alla sua ricerca.

Bruno Dumont

Ci addentriamo nelle tematiche del film attraverso l’intervista rilasciata da Bruno Dumont. Ecco qui sotto un estratto.

C’è stato un evento particolare che l’ha ispirata per questo film, o è stato influenzato dalla generale atmosfera di questo nostro mondo scandito dai media?

France è la storia di una brillante giornalista di un network televisivo che trasmette notizie 24 ore al giorno, con un mondo sullo sfondo che viene violentemente scosso da quello quasi parallelo delle reti media e social. Le società umane hanno perso in parte la loro normalità e il loro equilibrio naturale lasciandosi trascinare dalla concentrazione tipica di una società iperconnessa, eccessivamente digitale e comunitaria. La prevalenza di questo nuovo modo di pensare genera confusione perché interpreta in modo eccessivo la realtà, distorcendone e perturbandone ancora di più le proporzioni e le differenze naturali. Tutto ciò deriva da questa nuova ottica digitale – fatta di immagini e suoni dei media, e della loro realtà ricostruita e distorta – un’ottica che da quando ha iniziato a prevalere rimuove la realtà e che è accentuata dall’iperconnettività. Tuttavia sotto gli strati dell’ipermedialità la realtà continua a crepitare. Il nord della Francia è come una realtà pura in cui vive il cinema, dove il vero bene e il vero male esistono.

(Photo Credit: R. Arpajou)

(Photo Credit: R. Arpajou)

La finzione naturale del grande schermo – il cinema – potrebbe essersi estesa naturalmente a tutti i nostri schermi digitali, anche a quelli dei media giornalistici che in teoria dovrebbero concentrarsi sulla realtà?

La finzione chiaramente influenza la realtà. La finzione è in atto su tutti gli schermi digitali in cui la naturale narrazione di immagini e suoni, tagliati fuori dal mondo reale e modificati, crea irrevocabilmente un mondo parallelo. E così oggi questa nuova finzione sta facendo fuggire il cinema dalla sala cinematografica e dal suo ambiente naturale. Le linee di demarcazione fra realtà e finzione sono state cancellate. Tutto ciò determina una schizofrenia del nuovo mondo digitalizzato in cui viviamo. La realtà diventa finzione, il reale un mondo parallelo. C’è un sacco di “cinema” ovunque (in ogni senso della parola!). Nel settore mediatico in particolare. Il settore mediatico è un’industria di massa che sfrutta questa possibilità infinita e non riconosciuta di finzione per i propri fini. La realtà nei media giornalistici odierni non rispecchia tanto il reale ma, considerato il modo in cui lo distorce, piuttosto una “mezza realtà” che diventa la nuova realtà del mondo. Un potere mediatico ma soprattutto con i difetti di qualsiasi altra forma di potere. La collaborazione dei giornalisti in questa trasfigurazione della realtà è sia tragica che eroica, e rappresenta l’elemento umano all’interno di un sistema industriale ideologico e commerciale. La sincerità dei giornalisti provoca spesso empatia perché sebbene adottino la forma del loro ruolo, li riteniamo ancora liberi, quando invece, se viene data loro la parola, è soltanto perché si conformino al sistema che li impiega (o che li esclude istantaneamente, come vediamo succedere ogni tanto). Questo spettacolo mediatico – e il sistema di creazione di celebrità– la dice lunga sulla società moderna, sul mondo parallelo della realtà e su ciascuno di noi, perché anche noi ne facciamo parte. Un soggetto meraviglioso per il cinema! Meraviglioso, perché il cinema è a rischio, perché il mondo immaginario tracima nel mondo reale ma soprattutto meraviglioso perché l’elemento umano resiste sempre! France de Meurs è un ottimo esempio di una giornalista-celebrità figlia del sistema mediatico, una vera eroina cinematografica, una coscienza tragica perfettamente illuminata e perfettamente umana.

France è un’allegoria di un sistema mediatico che è diventato una macchina concentrata sul fare rumore e creare scalpore. Lei mostra come, il modo in cui un evento viene rappresentato conta molto di più dell’evento stesso, specialmente in televisione. Il film lo mostra con ironia e crudeltà. Il suo obiettivo è renderci consapevoli o crede che la situazione sia già irreversibile?

La ben nota diffidenza del pubblico nei confronti dei media e dei giornalisti, in generale, dimostra se non la consapevolezza per lo meno l’intuizione che ciascuno di noi ha riguardo ad un sistema che predica la realtà mentre viene schiacciato dalla finzione e dalle rappresentazioni. Il pubblico ha quindi una percezione confusa dello spettacolo della realtà attraverso i media. La televisione resta una forma di intrattenimento anche nell’attualità dove paradossalmente, la finzione affascina gli spettatori, li delizia addirittura, attraverso l’aspetto romanzato che emerge dalla sua “messa in scena”. Ciò avviene sia per le notizie di attualità che per l’intera gamma di notizie politiche, economiche e sociali le quali, come in una serie televisiva oggi eguagliano o addirittura superano nelle loro trame, le migliori fiction. L’ambivalenza di realtà e finzione nei notiziari è complessa e i media fortunatamente differiscono nel loro trattamento di tale ambivalenza e della tossicità che ne deriva. Resta il fatto che i media conformano la realtà alla propria ideologia, sfruttando opportunamente gli eventi di attualità come una fonte continua di indottrinamento, eventi sfruttati e prodotti secondo la gerarchia dei valori del proprio settore e per la propria continua propaganda. Tutto ciò semplifica la realtà per conformarla ai propri standard: una finzione quindi, di una realtà ricostruita, schematica e geometrica. Fortunatamente questa “cinematografia” dell’attualità, la sua finzione, è anche la sua salvezza. Conserva ancora la libertà di una rappresentazione virtualmente genuina della realtà. La bruttezza del mondo ai margini della società che viene rappresentata dai media dunque non è fatale, ma si abbina a questa possibilità alternativa della sua espressione. Questo dilemma è invero il dilemma degli eroi – che anche noi dobbiamo essere a livello individuale – eroi che continuano a combattere l’importante battaglia umana. Il sistema mediatico non è esente da questo dilemma per via dell’elemento umano che opera al suo interno: da qui deriva la sua eroina completamente cinematica, alternativa ed esasperata: France de Meurs.

(Photo Credit: R. Arpajou)

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Mentre i problemi di France vengono alla luce, sia a livello personale che professionale, diventiamo coscienti che il vero tema del film è l’inutilità di tutto. Nulla ha più importanza, nulla ha peso. Quello che diciamo, facciamo, nulla importa ora. È il chiasso dei media il responsabile di questa distruzione dei nostri valori?

La costante finzione della realtà toglie drammaticità a tutto. Gli equilibri naturali vengono disturbati, la sproporzione abbonda, la decadenza è in agguato. Una vera apocalisse sonnecchia in questo regime, se la finzione non ritorna nel suo teatro. La sottocultura ha giocato un ruolo nell’esondazione della finzione per le strade, dove una violenza estrema si sparge senza controllo, non più sublimata e contenuta da vere opere artistiche che sono sottovalutate e messe al margine da questa cultura di intrattenimento totale. È impossibile evitare di pensare – nell’informare, nell’educare e nell’intrattenere – che nella società odierna sono all’opera gli attuali media e la loro sottocultura. La povertà culturale è la causa di tutto e si sta diffondendo come una peste. Solo una consapevolezza emergente, di cui France è portatrice e modello, potrebbe innescare il processo di elevazione al di sopra di un sistema di alienazione mediatica. La natura umana trova il modo di uscire da qualsiasi situazione scomoda e qui lo fa attraverso il cinema che mediante la sua arte ci estrae dalla nostra barbarie. Anche la televisione può mirare più in alto. Sotto il suo splendore e i suoi ornamenti, il cinema è anche capace di dare il peggio. La questione non è mai estetica, è sempre politica: riguarda cosa si sceglie di raccontare, il resto segue. Oggi tutto è stabilito attraverso le istituzioni per fare sì che il mondo sia come è, e soprattutto che rimanga tale a dispetto delle pressioni contraddittorie di leggi, di regolamenti e costumi che interagiscono perché l’immobilismo prosperi. Per ora le stazioni televisive vivono in un vuoto: vediamo sempre le stesse facce (artisti, giornalisti, politici, esperti) tutti “coscienze pure” che si invitano reciprocamente ai loro spettacoli, si danno arie, parlano, girano in tondo e si riproducono fra di loro. Questo recinto mediatico è una scelta di standardizzazione i cui “attori” in molti casi, resi paranoidi da un tale regime, sono sia padroni che servi. Anche questa è una finzione, una forma di auto-contenimento e ripetizione. Molto lontana dal mondo reale con la sua diversità, le sue masse e la sua evanescenza. 

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