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CAMERA RETRO – Charlot e il dramma in lattina

Uno strato di polvere pesante copre il telo bianco nella sala, vuota come uno scrigno senza valori al suo interno. Il carillon non suona da anni ormai: nessuno accende le luci. Il velluto color porpora delle poltrone non fa che raggrinzire e scurisce attorno al legno che non cigola più sotto il peso dei corpi illuminati dallo schermo.

Talvolta alcuni ragazzi dopo la scuola varcano la soglia e si siedono in fondo, all’estremità dell’ultima fila. Restano con il mento tra le mani, i gomiti appoggiati allo schienale della poltrona davanti e gli occhi puntati sullo schermo. Nella tasca dei jeans tengono ancora il biglietto. E’ l’ultimo rimasuglio del recente passato, quando si andava a vedere da vicino le vite degli altri come fossero le proprie, quando c’erano eroi ed eroine a cui guardare negli occhi brillanti, profondi come miniere. Quando le coordinate di spazio e tempo venivano abbattute senza pietà, come fossero bestie con la rabbia a cui sparare. Ma adesso la sala con i suoi filari di poltrone, i corridoi e i tendoni è un relitto, una nave pirata piena di ragnatele e senza tesoro. Ad essere onesti, i fratelli Lumière, che per primi avevano ideato quel modo di creare spettacolo, l’avevano detto che il Cinema non sarebbe stato un successo commerciale.

Auguste e Louis Lumière

Auguste e Louis Lumière

E poi anche Charlot aveva ribadito che le immagini in movimento avrebbero avuto vita breve. Sarebbe stata giusto una moda passeggera, qualcosa come un cappello sfarzoso abbinato ad un paio di scarpe troppo kitsch. Presto la gente, che vuole vedere storie di carne e sangue, come suggeriva il comico inglese,  avrebbe abbandonato i cinematografi, quei drammi in lattina che fin dai primi del ‘900 erano nati come funghi all’ombra del guadagno per mostrare l’invisibile, e sarebbe ritornato con la coda fra le gambe ad affollare i teatri, perché solamente sui lignei palcoscenici si consumano drammi autentici e questioni vitali.

Charlie Chaplin in "Sunnyside" (1919)

Charlie Chaplin in “Sunnyside” (1919)

I due Lumière e Chaplin avevavo fatto i conti senza l’oste, cioè il pubblico che col passare dei decenni si è lasciato stregare dalle ombre sullo schermo, in cammino verso terre lontane attraverso sentieri selvaggi. Oppure chiuse, adombrate, sprofondate nel salotto, davanti al camino, con accanto una rivoltella carica e una donna con cui scappare. Il Cinema, prima in chiaroscuro e poi a colori, prima muto e poi parlato, è diventato il tratto primario del Secolo Breve. Ha creato miti e distrutto barriere, alle volte diluendo la verità con ciò che vogliamo sentirci dire, altre volte mostrando l’anima (sommersa) del nostro prossimo. Formando (e informando) le coscienze, plasmando le mode quando in esse non ha trovato ispirazione.

Il circo delle pulci ha funzionato a dovere e ancora funziona, dopo più di cent’anni. E quelli che ebbero poca fede (cinematografica, s’intende) si dovettero ricredere perché quel dramma in lattina è diventato una religione costudita dentro una lampada di aladino che ad ogni film aspetta il suo padrone.

Tommaso Montagna

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