Maria Paiato in "Medea" (foto di Tommaso Le Pera)

INTERVISTA – Maria Paiato: “Oggi regnano egoismo e povertà morale: bisogna tornare a progettare per il futuro”

Maria Paiato in "Medea" (foto di Tommaso Le Pera)

A detta di molti, Maria Paiato è l’attrice teatrale italiana più brava e preparata di tutte. Anche al di là dei molteplici riconoscimenti che ha ricevuto dagli addetti ai lavori: basta guardarla sul palco per restare catturati dalla sua forza dirompente e magnetica. Classe 1961, la Paiato è l’antidiva per eccellenza. Vive per il palcoscenico, con cui ha un rapporto viscerale. La fatica e la difficile prova fisica che comporta il suo andare in scena (soprattutto nel suo ultimo Medea di Pierpaolo Sepe), sono però ripagate dall’applauso del pubblico che scoppia per lei sempre fragoroso e incessante.

Maria Paiato in "Un Cuore Semplice" di Luca De Bei

Maria Paiato in “Un Cuore Semplice” di Luca De Bei

Al cinema l’abbiamo vista di meno, ma ha sempre lasciato il segno, passando con disinvoltura da un genere all’altro. Dalle commedie di Carlo Vanzina (Il Pranzo della Domenica, In Questo Mondo di Ladri) e di Silvio Soldini (2012, Il Comandante e la Cicogna), a storie drammatiche, tra cui spiccano Lo Spazio Bianco (2009, di Francesca Comencini) e l’acclamato Io Sono L’Amore (2009, di Luca Guadagnino). Da ricordare anche le sue prove per il compianto Carlo Mazzacurati ne La Passione (2010) e nel recente e premiato La Sedia della Felicità (2014).

La Paiato ne "La Sedia della Felicità" di Carlo Mazzacurati

La Paiato ne “La Sedia della Felicità” di Carlo Mazzacurati

L’abbiamo incontrata qualche tempo fa in teatro prima di andare in scena con il suo straordinario monologo Anna Cappelli – Uno Studio, un testo incredibilmente attuale di Annibale Ruccello (che lo scrisse nel suo tragico 1986) con la regia di Pierpaolo Sepe. Oggi siamo felici di pubblicare la sua intervista per farvela leggere.

Anna Cappelli, ambientata negli anni Sessanta: boom economico, ma miseria morale in cui è più importante avere che essere. Dopo oltre mezzo secolo che Italia è oggi? Che significato ha oggi il possesso in questi anni di crisi?

Probabilmente questa crisi può essere l’opportunità per rivalutare alcuni limiti del mero possesso che esclude ogni etica e ogni “morale”. Credo che comunque siamo in un momento dove queste due cose si stanno combattendo fortemente. C’è come una presa di coscienza di una buona parte della popolazione mondiale, ma allo stesso tempo continua ed insiste questa rincorsa al danaro a discapito di qualunque cosa, anche della vita. Non è cambiato niente, l’impoverimento morale è arrivato ad un livello altissimo. Per quello che riguarda il nostro Paese, dal boom economico a oggi le cose non sono migliorate, solo in qualche momento abbiamo cercato di tenere sotto controllo la situazione, ma alla fine, alla resa dei conti non ce l’abbiamo fatta e siamo messi come siamo. Un Paese ingovernabile.

L’egoismo oggi invece sembra dilagante e “manca l’idea di un progetto comune”: sta anche qui la difficoltà, soprattutto per i più giovani, di vedere un futuro?

Sì, assolutamente. Mai come oggi tutto è parcellizzato nelle nostre singole individualità. Una volta, e io me lo ricordo bene, c’era un senso del sacrificio per dare nel futuro qualcosa a qualcun altro. I miei genitori e anch’io facciamo parte di questa generazione. Oggi invece non esiste più il senso della progettualità, di un lavoro che con fatica e pazienza ha la finalità di arrivare a costruire qualcosa che si potrà vedere in futuro. E il futuro è la cosa più incerta che c’è.

Nella parte di Anna Cappelli

Nella parte di Anna Cappelli

Adesso invece viviamo nella società dell’immagine. In cui conta più apparire che essere: concorda?

È così. Anche Anna Cappelli, collocata nel suo momento storico, è condizionata dallo status symbol: dal matrimonio, all’avere la casa di proprietà, possedere una serie di cose che la rendono nei confronti della società una come gli altri o addirittura di più. Anche oggi questa cosa esiste tantissimo, c’è gente che pur di stare in televisione 5 minuti venderebbe un braccio…

Cosa pensa del web e dei social? Anche per come è cresciuta lei nella vita e nel lavoro…

Io mi sento un po’ esclusa da queste cose perché faccio parte di un’altra generazione che si è affacciata tardi a queste logiche. E poi anche per indole non sono brava con queste cose, per cui mi interessano veramente poco. Per quel che mi riguarda, i social potrebbero sparire del tutto. Penso che ci sia troppa caciara, tutto questo bisogno di comunicare non lo capisco e non mi va. Non sono su Facebook, non sono su nulla! Voglio essere introvabile, stare con un libro e al massimo tre persone: basta (ride ndr.)!

In scena in "Ritter, Dene, Voss" di Piero Maccarinelli (2007)

In scena in “Ritter, Dene, Voss” di Piero Maccarinelli (2007)

Sorrentino ne La Grande Bellezza ha chiamato diversi attori teatrali. Può essere una speranza per il futuro?

Sorrentino è uno bravo, ha sempre attinto dal serbatoio teatrale fin dai suoi inizi, quando era ancora uno sconosciuto. Ha capito che nel teatro c’è una materia più densa e corposa. È un regista di cinema che ha un gusto molto teatrale, cosa che rivedo soprattutto ne Il Divo. Spero che il suo esempio possa essere seguito, che possa servire ad altri a prendere coraggio. Anche Virzì ogni tanto si avvale degli attori teatrali. Però è sempre troppo poco, poi io me ne disinteresso. Sono sempre le produzioni che chiedono i nomi. Sinceramente spero che la cosa cambi.

A livello personale, so che il teatro è la sua casa, però ha dei progetti per il cinema?

Per adesso no. Lo faccio molto poco rispetto al teatro è un po’ mi dispiace. Il teatro è una casa bellissima ma richiede una forza che non è facile avere.

Con Valerio Mastandrea e Luca Zingaretti in "Il Comandante e la Cicogna" di Silvio Soldini (2012)

Con Valerio Mastandrea e Luca Zingaretti in “Il Comandante e la Cicogna” di Silvio Soldini (2012)

Davanti ad una macchina da presa c’è invece un dispendio di energia diversa.

Sì, è un modo di gestire l’energia completamente diverso. Al cinema bisogna avere un’energia tradotta in termini di pazienza, lunghe attese e poi improvvisamente una grande concentrazione per fare i ‘ciak’ subito con tutto il set che ti si muove intorno. In teatro invece devi avere una salute che ti consente di viaggiare molto, cambiare città, alberghi…è anche un po’ stressante.

CAMERALOOK

Penso agli sguardi in macchina di Anna Magnani, che sono poderosi. Ma anche degli sguardi di Meryl Streep che vorrei avere. E anche di Judie Dench. Queste sono le attrici che mi hanno dato, non tanto ispirazione quanto l’avere il gusto di avere gusto per questo mestiere quando si rischia di perderlo.

Intervista di Giacomo Aricò

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