Jean Luc Godard 0

Jean-Luc Godard, un intellettuale prestato al cinema

Oggi se n’è andato, a 91 anni, uno dei i più significativi autori cinematografici della seconda metà del Novecento: Jean-Luc Godard. Esponente di rilievo della Nouvelle Vague, il regista francese – premiato con un Leone d’Oro alla Carriera alla Mostra di Venezia del 1984 e un Oscar Onorario nel 2011 – Godard è stato punto di riferimento per i giovani cineasti degli anni Sessanta ed un’ispirazione per molti registi americani della New Hollywood. Lungo la sua carriera è stato capace di rinnovarsi costantemente insieme alla società e alle tecnologie audiovisive. Non si è mai richiuso nel cinema: Godard ha sempre affrontato la Storia e l’Attualità proponendo temi, dibattiti, riflessioni. Per questo è da considerarsi un grande intellettuale.

Il primo film "Fino All'Ultimo Respiro"

Il primo film “Fino All’Ultimo Respiro”

Da giovane critico a regista della Nouvelle Vague

Nato in una famiglia dell’alta borghesia, dopo un’adolescenza agiata ma ribelle e studi irregolari, il giovane Godard si accosta al cinema alla fine degli anni Quaranta frequentando la cineteca e i cineclub parigini con un gruppo di giovani amici (François Truffaut, Eric Rohmer, Jacques Rivette ecc.) che costituì il nucleo originario della futura Nouvelle Vague. Con essi partecipa nel 1950 alla fondazione di “La gazette du cinéma” e dall’anno successivo inizia a collaborare alla nuova rivista “Cahiers du cinéma“, proponendovi una scrittura critica fervida, attenta alle ragioni estetiche e morali del cinema. Parallelamente, Godard inizia a fare i suoi primi esperimenti di regia con film su commissione (Opération béton, 1955) o piccoli racconti ironici interpretati da amici o giovani attori (Tous les garçons s’appellent Patrick, 1957; Charlotte et son Jules, 1958). Per Godard tutto cambia nel 1960, quando realizza À Bout de Suffle (Fino All’Ultimo Respiro), il suo primo lungometraggio, con protagonisti Jean Seberg (recentemente riportata al cinema con il volto di Kristen Stewart in Seberg) e Jean Paul Belmondo. Si tratta del ritratto di un giovane delinquente, cinico e romantico insieme, “girato – come scrive Alberto Farassino in Jean-Luc GodardEnciclopedia Treccani, 2004 – in uno stile fresco e disinvolto, incurante delle regole grammaticali e degli standard tecnici cinematografici e che procede per divagazioni, trovate visive e gestuali, sentenze e citazioni pittoriche e letterarie, senza tuttavia dimenticare i miti e i modelli del cinema del passato”.

Un’attività frenetica, tanti temi, un cinema “libero”

Dopo quel film, il regista inizia un’attività frenetica, senza precedenti nella tradizione autoriale, realizzando per tutti gli anni ‘60 una media di due lungometraggi all’anno oltre a numerosi episodi per film collettivi. Il suo modo di girare, libero, è basato sulla rapidità, su sceneggiature appena abbozzate che lasciano il primato alla ripresa e alle circostanze offerte dal caso e dalla personalità degli attori. I temi erano in senso lato politico-sociali: gli echi della guerra d’Algeria (Le Petit soldat, 1960, ma uscito nel 1963 per problemi di censura), la condizione della donna e dei giovani (Vivre sa vie, 1962; Une Femme mariée, 1964; Masculin, féminin, 1966; Deux ou trois choses que je sais d’elle, 1967); ma con sconfinamenti in ogni direzione: dalla commedia brillante (Une Femme est une femme, 1961) all’apologo favolistico (Les Carabiniers, 1963, dalla pièce di B. Joppolo), dall’adattamento letterario (Le Mépris, 1963) alla variazione sui generi classici, quali la fantascienza (Alphaville, 1965, Orso d’Oro a Berlino) o il film noir (Made in U.S.A., 1967). Tutte pellicole-saggio sul disorientamento e la confusione di valori della condizione moderna, sempre sensibili però alle emozioni dei loro personaggi. La migliore sintesi? Pierrot le fou (1965), sempre con Jean-Paul Belmondo e Anna Karina (all’epoca moglie di Godard): “un – scrive Farassinoromantico, nichilista e caleidoscopico inno alla libertà e ai sentimenti intrecciato con riflessioni e digressioni che spaziano dalla politica alla pittura alla letteratura, ponendo però sempre la natura del cinema al centro della ricerca dell’autore”.

"Alphaville"

“Alphaville”

Il cinema e la politica

Nella seconda metà degli anni Sessanta i temi affrontati da Godard diventano sempre più politici. Film come Week-end (1967) e soprattutto La Chinoise (1967, vinse il Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia) prefigurano la rivolta studentesca del maggio 1968 che vide il regista partecipante attivo, sia filmando, sia proponendo riflessioni sul senso del cinema nella società capitalista. Ecco allora che arrivano opere fantasiosamente ribellistiche, come One plus one (1968), Vento dell’Est (1970, realizzato in Italia) e film militanti come Pravda (1969) o Lotte in Italia (1971), firmati (assieme a Jean-Henri Roger e Jean-Pierre Gorin) con il nome collettivo di Gruppo Dziga Vertov. Dopo un grave incidente stradale, Godard si isola e allontana dalle scene fino alla metà degli anni ’70. Utilizzando le nuove tecnologie elettroniche (e fondando un nuovo gruppo, chiamato Sonimage), realizza film come Numéro deux (1975) e i due lunghi programmi tv (Six fois deux1976, e France tour/détour deux enfants, nel biennio 1977-78), tutti lavori che si discostano dalla politica e si riavvicinano ai temi della famiglia, del lavoro, della vita privata.

La continua ricerca dell’immagine

Con il nuovo decennio, spesso al fianco della nuova moglie (e co-regista) Anne-Marie Miéville, Godard inizia una nuova fase, volta alla ricerca più appartata di purezza ed essenzialità dell’immagine, in contrasto con le tradizionali funzioni narrative e comunicative del cinema. Estetica e stilistica, legame tra vita, cinema e arte. Ecco film come Passion (1982), Prénom Carmen (1983, Leone d’Oro a Venezia) e Je vous salue, Marie (1984). Il “piccolo cinema dei generi e dei mestieri” si rivede in Détective (1985) e in Grandeur et décadence d’un petit commerce de cinéma (1986). Considerandosi un utopista e un sopravvissuto, il cineasta francese si è anche rappresentato ironicamente, in una sua liberissima versione di King Lear (1987) o in Soigne ta droite (1987), nella parte del fool o dell’idiota dostoevskiano, come un povero sciocco che crede ancora nel cinema e nella sua essenza. In Nouvelle vague (1990) ha tuttavia dimostrato di voler “andare oltre la rievocazione nostalgica del suo stesso passato – scrive Farassino – e di voler ulteriormente approfondire la sua ricerca sul cinema, le sue strutture narrative e formali, l’invenzione dei personaggi, in una sinfonia di immagini e di citazioni di grande sapienza visiva e sonora”.

"Prènom Carmen"

“Prénom Carmen”

Godard e gli anni ’90

Gli anni Novanta e gli avvenimenti politici influenzano Godard che torna ad affrontare la storia e l’attualità in Allemagne année 90 neuf zéro (1992) e Les Enfants jouent à la Russie (1993), bizzarri viaggi mentali e romanzeschi nelle grandi culture tedesca e russa e nel loro immaginario cinematografico, mentre in For Ever Mozart (1996) la guerra in Bosnia fa da sfondo a due temi cari a Jean-Luc: le difficoltà di un regista nel realizzare un film e il ruolo dell’artista nella società. Temi che erano apparsi in forma più lirica nel sofferto e orgoglioso autoritratto JLG/JLG ‒ Autoportrait de décembre (1994, poi pubblicato anche in volume, come altri testi di suoi film, a ribadirne il carattere poetico e paraletterario) e che sarebbe ritornato insieme alla riflessione storica in Éloge de l’amour (2001). Nel frattempo il maestro ha sviluppato una sua ‘storia del cinema’ in video che è contemporaneamente una storia individuale e una riflessione sul 20° secolo che nel cinema si è rispecchiato. Le Histoire(s) du cinéma (1988-1998) risultano così una sintesi di sapere cinematografico e sensibilità storica e politica.

Godard e il nuovo millennio, sempre al passo con i tempi

Nel nuovo millennio non si interrompe la vena creativa di Godard. Nel 2004 presenta Fuori Concorso al Festival del Cinema di Cannes Notre musique, pellicola che riflette sulla violenza, la moralità, e la rappresentazione della violenza nel cinema, ed in particolare sul passato colonialismo e l’attuale conflitto israelo-palestinese. Nel 2010, sempre a Cannes (nella sezione Un certain regard), presenta Film socialisme, una sinfonia in tre atti a partire dal Mediterraneo e da una nave di crociera, dove si incrociano conversazioni, citazioni, lingue e formati video differenti. Del 2014 è invece il pregevole Adieu au Langage – Addio al Linguaggio, girato in 3D (per la prima volta nella storia del cinema realizza una dissolvenza incrociata tridimensionale), un insieme di immagini da incastrare, come tessere di un puzzle, un nuovo esperimento/lezione di cinema, un mash-up tra scienza e poesia, tra arte e politica. Una lettura filosofica del nostro mondo in cui non mancano riferimenti a film, quadri, giornali, alla tv. Presentato in Concorso al Festival di Cannes, vince il Premio della giuria ex-æquo con Mommy di Xavier Dolan. Suo ultimo lavoro, ancora una volta in gara per la Palma d’Oro, è invece Le livre d’image del 2018, un’opera composta da una serie di film, dipinti e brani musicali legati insieme alla narrazione e ad ulteriori filmati originali di Godard e Anne-Marie Miéville. Simile alla sua precedente serie Histoire(s) du cinéma, il film esamina la storia del Cinema e la sua incapacità di riconoscere le atrocità del 20° e 21° secolo (in particolare l’Olocausto e il conflitto israelo-palestinese), le responsabilità del regista e i progressi nel discorso politico con l’introduzione di fotocamere digitali e Smartphone. La giuria del Festival l’ha premiato con la “Special Palme d’Or” (non era mai accaduto prima).

"Adieu au langage"

“Adieu au langage”

Ognuno ha il suo Godard

Negli ultimi anni sono stati diversi i titoli della cinematografia di Jean-Luc Godard che sono tornati nelle sale in versione restaurata, da Il Disprezzo (1963, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia e con protagonista la splendida Brigitte Bardot), a Due o Tre Cose Che So di Lei, (che il maestro francese girò nel 1967 dirigendo una fantastica Marina Vlady), passando per Bande à Part, (1964, tratto da Fool’s Gold di Dolores Hitchens, romanzo della Série Noire). Sempre in quest’ultimo decennio sono da ricordare anche due film che lo celebrano come En Attendant Godard di William Brown (2010) e Il Mio Godard (Le Redoutable) del regista Premio Oscar Michel Hazanavicius, (presentato in Concorso a Cannes nel 2017) con protagonisti Louis Garrel, Stacy Martin e Bérénice Bejo. Un ritratto affettuoso e ironico di Godard visto attraverso gli occhi dell’allora giovanissima moglie Anne Wiazemsky. L’ultimo lavoro a lui dedicato è invece recentissimo: alla 79. Mostra del Cinema di Venezia con Godard Seul Le Cinéma, il documentario di Cyril Leuthy.

Insomma, Godard ha cambiato il cinema. Lo celebreremo sempre, ognuno a proprio modo.

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