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La Tartaruga Rossa, la meraviglia di Michael Dudok de Wit

Co-prodotto dallo Studio Ghibli e dal maestro Isao Takahata, sta arrivando al cinema La Tartaruga Rossa, il film diretto da Michael Dudok de Wit che sarà proiettato come evento solo dal 27 al 29 marzo. Una pellicola meravigliosa candidata al Premio Oscar per il Miglior Film d’Animazione.


Attraverso la storia di un naufrago su un’isola tropicale deserta e popolata di tartarughe, granchi e uccelli, La Tartaruga Rossa racconta le grandi tappe della vita di un essere umano. Per meglio addentrarci nella storia, vi presentiamo un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Michael Dudok de Wit (da un’intervista a cura di Bernard Génin, apparsa in Positif N° 665 (luglio/agosto 2016).

Tra i tuoi cortometraggi di animazione, almeno due sono diventati di «culto». Nel 1996, The Monk and the Fish, realizzato nello studio Folimage di Valenza, ha ricevuto un  César e una candidatura all’Oscar. Poi è stato il turno di Father and Daughter che, nel 2001, è stato accolto da una valanga di premi importanti (Annecy, Hiroshima etc.) e da un Oscar. Una bambina vede scomparire suo padre e il ricordo del genitore l’accompagnerà per tutta la vita. In questo tema esprimi un sentimento difficile da definire: lo «struggimento»…

Sì, è un sentimento difficile da definire perché è sottile, ma penso che siano in molti a conoscerlo. È un’aspirazione verso qualcosa che sembra inaccessibile, un grande desiderio silenzioso e profondo. Per un artista, può significare un desiderio di perfezione, di un ideale nella musica, nel disegno, nella poesia… È una mancanza dolorosa eppure molto bella. Non puoi immaginare quante testimonianze molto toccanti io abbia ricevuto da parte di amici e anche di sconosciuti. Dicevano che il film parla loro di eventi che hanno essi stessi vissuto. Ho avuto una fortuna enorme, è diventato un classico.

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Uno dei temi è ancora una volta lo «struggimento», questa attesa dell’eroe davanti al mare… Ma anche quella che tu chi l’atemporalità, il «fuori dal tempo». È presente in tutti i tuoi film, lo percepiamo nelle sequenze sugli alberi, il cielo, le nuvole, gli uccelli che volteggiano…

Sì, sono momenti di grande purezza e semplicità, che ciascuno di noi conosce. Non esiste né il passato, né il futuro, non esiste più il tempo.

Ma il tempo è anche circolare. Le generazioni si susseguono. Il bambino compie gli stessi gesti del padre, supera gli stessi scogli, subisce gli stessi pericoli. Negli animali il ciclo è diverso: il pesce morto nutre le mosche che vengono mangiate dal ragno, il granchio viene portato via dall’uccello e via dicendo…

Esatto. Il film racconta la storia in modo lineare e circolare e utilizza il tempo per parlare dell’assenza di tempo, un po’ come la musica può mettere in rilievo il silenzio. È un film che racconta anche che la morte è una realtà. L’essere umano tende a contrastare la morte, ad averne paura, a lottare per scagionarla e si tratta di un atteggiamento molto sano e naturale. Eppure si può avere nello stesso momento una bellissima comprensione intuitiva del fatto che siamo pura vita e non abbiamo bisogno di opporci alla morte. Spero che il film trasmetta un po’ questo sentimento.

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Un altro elemento essenziale è l’apparizione della tartaruga, il suo lato misterioso…

L’idea di creare una storia con una grande tartaruga è venuta abbastanza rapidamente. Avevamo bisogno di avere una creatura dell’oceano imponente e rispettata. La tartaruga marina è solitaria e pacifica e per lunghi periodi scompare nell’immensità dell’oceano. Dà la sensazione di essere vicina all’immortalità. Il suo colore rosso intenso le si addice e spicca sul piano visivo. Abbiamo ragionato a lungo sull’opportunità di mantenere un certo livello di mistero nella storia. Nei film dello Studio Ghibli, per esempio, la presenza dell’elemento misterioso è sfruttata molto bene secondo me. È evidente che il mistero può essere magnifico, ma non deve esserlo al punto da sganciare lo spettatore dalla storia. È importante generarlo in modo sottile… E senza utilizzare le parole, dal momento che il film è privo di dialoghi. È molto semplice spiegare una cosa con una battuta, ma ovviamente esistono altri mezzi. Penso in particolare ai comportamenti dei personaggi, alla musica e al montaggio. E, in assenza di dialoghi, il suono della respirazione dei personaggi diventa naturalmente più espressivo.

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