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Michael Fassbender diventa lo Steve Jobs di Danny Boyle

Michael Fassbender è stato candidato all’Oscar come Miglior Attore Protagonista per aver interpretato Steve Jobs, il film diretto da Danny Boyle e sceneggiato da Aaron Sorkin, che ha lavorato sulla base della biografia, che ha venduto milioni di copie, del fondatore della Apple scritta da Walter Isaacson. Nel cast anche una bravissima Kate Winslet, candidata all’Oscar come Non Protagonista. La pellicola è dal 21 gennaio al cinema.


Steve Jobs si svolge nei backstage pochi minuti prima dei lanci dei tre prodotti più rappresentativi nell’arco della carriera di Jobs – partendo con il Macintosh nel 1984 e finendo con la presentazione dell’iMac nel 1998 – portandoci, appunto, dietro le quinte della rivoluzione digitale, per tratteggiare un ritratto intimo dell’uomo geniale che è stato il suo epicentro.

Vi presentiamo ora di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal regista, Danny Boyle.

Ci racconti cosa Le è passato per la testa quando ha ricevuto la sceneggiatura di Aaron Sorkin e l’ha letta per la prima volta.

Ho letto la sceneggiatura e ho pensato che sarei stato un pazzo a non fare il film. Mi ha lasciato senza fiato. Ho pensato che non avevo mai fatto nulla di simile prima. Le sfide che presentava – il suo essere completa e autosufficiente, il suo meraviglioso esercizio linguistico—mi intrigavano immensamente. Anche il personaggio di Steve Jobs che Aaron aveva creato – lo Steve che esiste nel copione che, per certi versi, combacia con quello storico e per altri no —mi affascinava enormemente. E’ un personaggio di proporzioni shakespeariane. E’ ipnotizzante, violento e divertente.

"Steve Jobs" (foto di François Duhamel)

“Steve Jobs” (foto di François Duhamel)

Cosa c’era nel copione che Le ha fatto venir voglia di fare questo film?

Ho visto nella sceneggiatura di Sorkin molte persone orbitanti intorno a questo pianeta straordinario, che è il personaggio di Steve Jobs. Nella vita esistono persone come lui intorno alle quali finiamo per orbitare; le nostre vite sono vissute per certi versi nel loro riflesso e spesso siamo incapaci di staccarci da loro. Hanno una grande forza gravitazionale. Sono persone che ispirano devozione. Come personaggi sono affascinanti da esaminare. Ci sono persone nella vita di Jobs che gli sono chiaramente e profondamente devote. Altri personaggi lo ritengono un mostro. E, in un certo senso, lui è un mostro reso bello dalla lingua e da due donne.

Lei ha detto che il film non è un biopic e che non è un tentativo di raccontare una storia che si attiene rigidamente ai fatti della vita di Jobs. Nonostante questo Lei descrive figure vere e realmente esistenti. Quali elementi delle figure reali – di Steve Jobs, e dei vari membri della sua squadra – ha incorporato nella storia?

Siamo molto grati al libro di Walter Isaacson e alla profondità delle sue ricerche, ma volevamo che il film fosse un viaggio diverso. Sorkin descrive il film come un “ritratto impressionista”. Ci sono idee che vengono chiaramente dalla vita reale, ma il film è un’astrazione. Prende gli eventi – alcuni veri, altri immaginati – e li comprime all’interno di tre atti, strutturati intorno ai lanci del Macintosh nel 1984, del NeXTcube nel 1988 e dell’ iMac nel 1998. Per tre volte compaiono sei personaggi, 40 minuti prima che ogni prodotto venga lanciato, e parlano semplicemente tra loro. Questa non è vita vera; è una versione amplificata della vita vera. Il copione di Sorkin parla di molto più che di Steve Jobs come persona. Lui ha cambiato una delle cose più preziose e vitali delle nostre vite, che è il modo in cui comunichiamo, in cui interagiamo gli uni con gli altri – eppure molti dei suoi rapporti erano profondamente disfunzionali. Il film parla anche di team – e con questo voglio dire che parla di una persona che è stata capace di spingere gruppi e individui a creare. Nel nostro personaggi di Steve c’è ingegno e umorismo, e una comprensione di quanto le persone amino trovare qualcuno che le incoraggi a sforzarsi. Jobs era quasi maniacale nella sua determinazione a trasformare le persone.

Kate Winslet (foto di François Duhamel)

Kate Winslet (foto di François Duhamel)

Perché ha deciso di girare tutto il film a San Francisco?

San Francisco è la Betlemme dell’era digitale, la patria della seconda rivoluzione industriale. Io vengo dal nord dell’Inghilterra, da Manchester, nota come il luogo in cui è nata la Rivoluzione Industriale 200 anni fa. E proprio come Manchester, San Francisco è impregnata della sua storia e del suo proprio mito. Mi sono subito identificato con l’idea di fare questo film a San Francisco. Spero che il film, per qualche strana sorta di osmosi, prenda qualcosa da questo. Ho sempre pensato che se si rispetta il luogo in cui si fa un film, questo ti ricompenserà… attraverso la comprensione e l’apprezzamento tuo e degli attori di quello stesso luogo. Durante le riprese, ci sono state anche persone che erano presenti ai tre lanci originali che, per nostro volere o per caso, abbiamo conosciuto.

Ha marcatamente differenziato i tre spazi nei suoi tre atti. Perché?

E’ vero. Quello che sin dall’inizio mi ha attirato del copione è stato proprio questo: mi sono chiesto come avrei potuto presentare queste tre scene dietro le quinte in maniera dinamica e con la maggiore tensione possibile. E abbiamo deciso di ambientarle in tre luoghi differenti, ognuno dei quali dava qualcosa di particolare – un sentimento particolare, una storia particolare – a ogni atto.

Michael Fassbender (foto di François Duhamel)

Michael Fassbender (foto di François Duhamel)

Può parlarci del Suo lavoro con Michael Fassbender? Perché ha pensato che fosse lui quello giusto per interpretare Steve Jobs?

Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di molto jobsiano in Michael. Ha una gran dote che è l’incredibile intensità che mette nell’applicarsi in quello che sta facendo. E’ davvero un attore che intimorisce. Ma, grazie a Dio, ha spirito. Questo è un copione molto acuto e Michael tira fuori l’umorismo in maniera molto dettagliata e la commedia quando vuole. Nella sua applicazione però fa paura e l’ha mostrato nella sua preparazione. Sono stato fortunato ad avere la possibilità di mettere insieme la sceneggiatura di Sorkin e un attore come lui. Il mio lavoro è stato ‘solo’ quello di assicurarmi che niente fosse d’intralcio o d’ostacolo.

A un certo punto del film, Steve si paragona a un direttore d’orchestra, dove l’analogia è che dato che lui non è un musicista e non suona uno strumento, il suo lavoro non è suonare uno strumento, è suonare l’orchestra. Ci può spiegare che cosa vuole dire con questo?

Jobs non era un ingegnere o un programmatore. Le sue conoscenze come ingegnere erano basiche, ma lui era capace di sintetizzare tutte le sue altre abilità. Questo è quello che fai da regista, veramente. Io non capisco le cineprese o le luci nel modo in cui le conoscono un capo dipartimento o uno specialista in uno di questi campi. Di sicuro non so fare un costume, ma so sintetizzare le abilità di tutti questi esperti, o almeno spero.

L'uomo dei sogni (foto di François Duhamel)

L’uomo dei sogni (foto di François Duhamel)

Cosa spera che gli spettatori portino via dal film?

Spero che quando gli spettatori vedranno il film vedranno come il mondo sia stato cambiato da quello che questo personaggio è stato in grado di fare grazie alla sua energia, alla sua forte motivazione, alla sua intelligenza e alla sua folle dedizione e passione – ma anche il prezzo che ha pagato a livello personale. Per quanto sia un genio visionario, la misura della vera conoscenza di sé e l’umanità arrivano solo quando Steve capisce di essere malato. In realtà, io non sono in grado di dirvi cosa farvene del film proprio come Steve Jobs non può dirvi cosa scrivere sui vostri iPad! Come narratore di storie, vuoi lavorare su qualcosa di bello, per poi darlo alla gente; quello che le persone ci trovano – e questo è il bello e il brutto di questo lavoro – dipende da loro.

“Steve Jobs ha cambiato tutte le nostre vite. Ha cambiato il modo in cui funziona il mondo e come comunichiamo. Una persona che ha avuto questo impatto merita una riflessione”.

Michael Fassbender

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