Oggi la sezione Venezia Classici della 75. Mostra del Cinema di Venezia presenterà, restaurata dalla Cineteca di Bologna, Morte a Venezia, la pellicola diretta nel 1971 dall’immenso Luchino Visconti e tratta dal romanzo La Morte a Venezia dello scrittore tedesco Thomas Mann. Presentato in concorso al 24º Festival di Cannes, grazie al quale Visconti vinse un Premio speciale del venticinquesimo anniversario, è il secondo capitolo della “trilogia tedesca”, di cui fanno parte anche La Caduta Degli Dei (1969) e Ludwig (1972).
Venezia, 1911, il compositore Gustav von Aschenbach (Dirk Bogarde) si reca al Lido, all’Hotel des Bains, per un periodo di riposo al fine di riprendersi da una crisi cardiaca di cui aveva sofferto qualche tempo prima. Qui, il maturo protagonista resta colpito dalla bellezza efebica di un giovanissimo polacco, Tadzio (Björn Andrésen), che frequenta la spiaggia dell’hotel. Se ne infatua, e l’innamoramento provoca nel suo animo una crisi profonda che lo porta, da un lato a contrastare questo suo sentimento, e dall’altro a volerlo assecondare vivendone tutte le emozioni.
Egli deciderà alla fine di rimanere silenziosamente accanto al ragazzo, limitandosi a osservarlo e a cercare di continuo a resistere alle sue emozioni a cui, però, cederà spesso, tanto da ricorrere alla tintura dei capelli e a un trucco pesante, presso un barbiere, nell’illusione di conservare una giovinezza ormai superata. Gustav non lascerà più Venezia, nonostante gli sia ormai chiaro che vi imperversa un’epidemia di colera. Sempre più debole, trascorrerà i suoi ultimi momenti sulla spiaggia del Lido in contemplazione del suo amato.
Luchino Visconti (in questo estratto dell’intervista che rilasciò a Daniela Pasti, «Il Mondo», 14/3/1971) disse: “sono nato nel 1906 e il mondo che mi ha circondato, il mondo artistico, letterario, musicale, è quel mondo lì. […] Ci sono attaccato come un melo che nasce in un meleto ha le sue radici in quella terra e non in una spiaggia araba. Ma d’altra parte se si vuole raccontare una certa società bisogna pur raccontarla nel contesto dell’ambiente in cui quella società viveva. Oggi è tutto diverso. Se dovessi fare oggi un film moderno non so dove andrei a cercare i miei ambienti […]. La società europea fino alla Prima guerra mondiale è stata quella dei più grandi contrasti e dei maggiori risultati estetici. Il mondo contemporaneo invece è così livellato, così grigio, così poco estetico…“.