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Piccolo Corpo, viaggio e miracolo nell’opera prima di Laura Samani

Presentato alla 60a Semaine de la Critique al Festival del Cinema di Cannes 2021 e alla selezione ufficiale del 39° Torino Film Festival, giovedì 10 febbraio esce nelle nostre sale Piccolo Corpo, la pellicola ambientata nel Friuli di inizio Novecento diretta dall’esordiente regista Laura Samani. Protagoniste sono Celeste Cescutti e Ondina Quadri.

Il film

In una piccola isola del nord est italiano, in un inverno agli inizi del ‘900, la giovane Agata (Celeste Cescutti) perde sua figlia alla nascita. La tradizione cattolica dice che, in assenza di respiro, la bambina non può essere battezzata. La sua anima è condannata al Limbo, senza nome e senza pace. Ma una voce arriva alle orecchie di Agata: sulle montagne del nord pare ci sia un luogo dove i bambini vengono riportati in vita il tempo di un respiro, quello necessario a battezzarli. Agata lascia segretamente l’isola e intraprende un viaggio pericoloso attaccata a questa speranza, con il piccolo corpo della figlia nascosto in una scatola, ma non conosce la strada e non ha mai visto la neve in vita sua. Incontra Lince (Ondina Quadri), un ragazzo selvatico e solitario, che conosce il territorio e le offre il suo aiuto in cambio del misterioso contenuto della scatola. Nonostante la diffidenza reciproca, inizia un’avventura in cui il coraggio e l’amicizia permetteranno a entrambi di avvicinarsi a un miracolo che sembra impossibile.

Laura Samani racconta…

“Nel 2016 scoprivo che a Trava, nel mio Friuli Venezia‐Giulia, esiste un santuario dove, fino alla fine del 19° secolo, avvenivano miracoli particolari: si diceva che lì si potessero riportare in vita i bambini nati morti, per il tempo di un respiro. Il miracolo del ritorno alla vita era necessario per battezzare i bambini, altrimenti destinati ad essere seppelliti nelle zone incolte, come si fa con i gatti. Senza battesimo non avrebbero mai avuto un nome e un’identità, la loro anima avrebbe errato eternamente nel Limbo. I santuari di questo tipo portano il nome di à répit, del respiro o della tregua, erano presenti in tutto l’arco alpino – solo la Francia ne contava quasi duecento – ed è impressionante come questi fatti siano pressoché sconosciuti, nonostante la dimensione del fenomeno. La storia di questi miracoli si è impigliata in qualche anfratto dentro di me ed è rimasta lì a chiedere attenzione”.

Piccolo Corpo 1

“Una cosa in particolare mi aveva colpito: erano principalmente gli uomini a viaggiare verso i santuari con i piccoli corpi degli infanti. Certo, le puerpere erano allettate, ma non mi rassegnavo all’attesa impotente a cui erano costrette. Quando la bambina nasce morta, Agata dovrebbe elaborare il lutto. Ma mentre tutti gli altri intorno a lei sembrano andare avanti, lei non ci riesce. Per me la parte più bella di una storia è quel momento di vita in cui il personaggio compie una ribellione. Quella di Agata ha un che di scandaloso, perché presuppone orgoglio e protesta non solo nei confronti della religione, ma pure delle leggi di natura. C’è un momento preciso, solitamente di notte, in cui di colpo le possibilità di fronte a noi diventano una sola ed è lì che si fa il destino. Agata decide di ascoltare le voci che parlano dei miracoli, segue il suo istinto e si mette in viaggio con sua figlia in una piccola scatola, all’insaputa di tutti i suoi cari. È sola”.

“La pratica di far resuscitare i putti era ovviamente mal vista dalla Chiesa, perché considerata abuso di sacramento e paragonabile alla stregoneria. Agata affronta un viaggio ai confini di ciò che non conosce, abbandonando le proprie radici, rischiando di perdere sé stessa e la propria vita. Il suo desiderio cosciente è dare un nome a sua figlia per poi potersene separare, ognuna fattasi entità distinta. Ma in realtà questo viaggio è un modo per prolungare quella condizione di simbiosi che Agata aveva condiviso per mesi con sua figlia, una sorta di continuazione della gravidanza, in cui il ventre si sposta metaforicamente sulla schiena, divenendo il peso che porta sulle spalle. Il suo viaggio è fisico, ma diventa trascendentale. Agata non si accorge che per perseguire la sua missione deve trasformarsi, farsi morta tra i vivi. Le serviva un compagno di viaggio, ed è così che è nato il personaggio di Lince. Selvatico, furbo, impedisce agli altri di entrare, perché amare ti compromette, ti indebolisce”.

Piccolo Corpo 2

“Lince mostra ad Agata la strada offrendole protezione, ma ciò che ha in cambio da lei è qualcosa di altrettanto necessario per la sua sopravvivenza: il profondo senso di attaccamento a ciò che si ama. Il restare, il sacrificio, il senso di appartenenza a qualcosa che non si può controllare e che rende vulnerabili. Grazie all’incontro con Agata, Lince si riappropria di quella parte di sé che appartiene all’archetipo femminile e che ha il coraggio di accettare anche la parte oscura dell’amore: il dolore. Ho ambientato il film nella mia terra – il radicamento nel territorio non significa che questa storia sia di quel luogo, le storie secondo me sono uguali dappertutto – girando in continuità cronologica e quindi compiendo lo stesso viaggio di Agata, dalla laguna di Caorle e Bibione alle montagne della Carnia e del Tarvisiano. Il film è cresciuto con noi e noi con lui”.

“Mentre cercavo i luoghi, incontravo le persone che sarebbero diventati i personaggi del film, o forse viceversa, del resto non si può prescindere gli uni dalle altre. La quasi totalità del cast è composta da persone che non avevano mai recitato prima, in alcuni casi famiglie intere. Anche per questo motivo, non solo per restituire una verità linguistica del tempo, ho deciso di girare in dialetto veneto e friulano, ognuno nelle sue diverse variazioni, perché volevo il più possibile permettere alle persone di esprimersi nel modo a loro più naturale. Per motivi diversi e spesso lontani dalla specificità della vicenda narrata, tutte le persone coinvolte hanno trovato qualcosa di sé nella storia e nelle tematiche evocate. È così che ci siamo spesso ritrovati a parlare più di vita che di cinema, a imparare gli uni dagli altri: ora ero io a dirigerli e ora erano loro a guidare me. La trasversalità è la forma più bella del creare“.

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Nel film Dio non è nel miracolo e nelle preghiere, né nel dogma che divide in paradiso/inferno/limbo. Dio esiste a un altro livello: in Lince che non crede a niente e così sfugge alle premesse iniziali del miracolo; in Agata che organizza la rabbia per ridisegnare i confini del possibile; nel rapporto di queste due solitudini che per un momento si fanno meno dolorose. C’è una linea sottile che divide vita da morte, realtà da magia, le possibilità in cui abbiamo sperato e il tempo che ci è rimasto. Spero che il film crei uno spazio di condivisione ulteriore, senza la presunzione di trovare risposte assolute, per abitare insieme il dubbio”.

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