(foto di Shanna Besson)

Roubaix, Une Lumière: gli abissi dell’essere umano nel noir di Arnaud Desplechin

(foto di Shanna Besson)

Dal documentario di Mosco Boucault, dal 1° ottobre al cinema arriva Roubaix, Une Lumière, il film diretto da Arnaud Desplechin con protagonisti Roschdy Zem, Léa Seydoux e Sara Forestier. Un thriller sociale teso, febbrile e spirituale, un noir che trascende elegantemente le strutture di genere per scandagliare gli abissi dell’essere umano e la miseria del mondo di oggi.

Il film

Roubaix, la notte di Natale. Il commissario Daoud (Roschdy Zem) è di pattuglia per le strade della città dove è cresciuto. Al suo fianco c’è Louis Coterell, agente giovane e inesperto appena uscito dall’accademia di polizia. Daoud e Louis sono chiamati ad indagare sull’omicidio di una vecchia donna: le indiziate del delitto sono Claude (Léa Seydoux) e Marie (Sara Forestier), le due giovani vicine dell’anziana.

Arnaud Desplechin racconta…

““Cinefilo già da bambino, rifiutavo la società. già dal cortile della scuola. Ma credo che grazie al cinema ho saputo accettare il mondo”. Qui riporto in modo molto imperfetto la voce di Daney, sentita alla radio. Per molto tempo, questa frase è stata il mio vade-mecum. Tutti i miei film, o quasi, sono stati film romantici.  Oggi ho voluto un film che si attenga alla realtà, in ogni parte. Che riprenda un materiale grezzo che, con l’arte dell’attore, possa accendersi. Come indica il prologo della sceneggiatura: non ho voluto lasciare nulla all’immaginazione, inventare nulla, ma ho voluto rielaborare delle immagini viste in televisione dieci anni fa e che da allora mi hanno perseguitato“.

(foto di Shanna Besson)

Roschdy Zem (foto di Shanna Besson)

Perché non ho mai potuto dimenticare queste immagini? Perché solitamente, riesco a identificarmi solo con le vittime. Non mi piacciono troppo i carnefici. E per la prima e unica volta nella mia vita, in due criminali ho scoperto due sorelle. Ho voluto considerare le crude parole delle vittime e dei colpevoli come la più pura poesia che esista. L’ho considerato come un materiale sacro, cioè: un testo che non finiremo mai d’interpretare. Come spettatore, ho le vertigini di fronte alla colpevolezza e all’ ingenuità di queste due assassine. Mentre trascrivevo e mettevo insieme questo materiale pensavo sempre a Delitto E Castigo. I tormenti di Raskolnikov sono gli stessi di queste diseredate. Sì, Pietà più di quanto si possa dire, è al centro dell’amore“.

Da regista cerco come filmare e dirigere – come gli attori interpreteranno tali ruoli. Credo che la posizione della macchina da presa e la performance dell’attore possano mostrare i peggiori tormenti dell’anima. Questo è il potere dell’incarnazione proprio del cinema. Penso che la finzione si arricchisca ad essere un possibile specchio della realtà. Ciò che senza dubbio mi ha colpito di più mentre scoprivo le immagini all’origine del mio film, sono questi volti di donne. Colpevoli e vittime. L’anziana Lucette, la giovane donna violentata, l’amica che l’accompagna, la giovane scappata di casa e infine le due assassine, che mi conducono in un vortice di terrore…Così, attraverso la vita di questa stazione di polizia di Roubaix, abbiamo un ritratto, inevitabilmente incompleto, della condizione femminile di oggi“.

Léa Seydoux e Sara Forestier (foto di Shanna Besson)

Léa Seydoux e Sara Forestier (foto di Shanna Besson)

Un solo film è stata la mia guida cinematografica: Il Ladro di Hitchcock. Una notizia restituita alla sua brutalità, alla sua nudità e al suo enigma. L’enigma della verità. Sappiamo come Hitchcock abbia spinto la sua ossessione per il realismo fino al punto di filmare negli stessi luoghi degli eventi e usando i testimoni nei loro propri ruoli. Qui non oso prendere la stessa strada del maestro. Il mio percorso è il seguente: confido, quando verrà il momento, di sapere come dirigere queste parole e come filmare gli attori che le faranno proprie, prima di restituircele. Si, rendere omaggio alla trivialità di queste parole o al loro mistero. Cioè, tramite il genio proprio del cinema, far brillare la grandezza della finzione in una terreno devastato di vite distrutte. È un progetto umile. E la sua ambizione mi travolge. È questa ambizione che voglio abbracciare. Al centro del film c’è la questione dell’inumano. Chi è umano, chi non lo è più? Attraverso lo sguardo dell’ispettore Daoud, tutto si mostra profondamente umano. La sofferenza come il crimine“.

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