Storia Di Una Festa Mobile 0

Storia Di Una Festa Mobile – Emanuele Anceschi: “Filosofia e Cinema ci aiutano a capire la vita”

Kinbaku. Beautiful young model posing tied with ropeIl Cinema, la Filosofia, la Letteratura. Sono tutti strumenti per capire il nostro mondo, la società. In una parola, la vita. In che modo Registi, Filosofi e Scrittori hanno cambiato la nostra visione del mondo? A questo quesito prova a rispondere Storia Di Una Festa Mobile, il saggio di Emanuele Anceschi (edito da Brè Edizioni) che cerca di conoscere e ripercorrere la realtà quotidiana attraverso Pensieri, Testi e, in grande parte, Film. Da MatrixIl Cacciatore, da Melancholia a Le Onde del Destino, da Fight Club ad Alice Nel Paese Delle Meraviglie, la Storia Di Una Festa Mobile di Anceschi narra il percorso che il protagonista sta compiendo per raggiungere il tempio dentro la caverna, dove spera di ricevere qualche risposta alle sue numerose domande filosofiche. Durante il viaggio, anche metaforico, si interroga su molti aspetti della società contemporanea, e attraverso la filosofia, l’antropologia, la letteratura, il cinema e l’ironia, riesce a darsi delle risposte. I fenomeni naturali, le canzoni, i film, i discorsi distopici tra personaggi reali e non: tutto è riconducibile a un’ottica filosofica. Ed è così che in questo breve saggio discorsivo sembra che egli, insieme alle proprie riflessioni, passi da un simposio a un altro, in compagnia sempre diversa: da Nietzsche, Heidegger, Anders, Marx, Schopenhauer a Von Trier, Lynch, Fellini, Kerouac, Bukowski, Hemingway fino ad arrivare ad Alice nel paese delle meraviglie.

"Storia Di Una Festa Mobile", artwork di Silvia Barbieri

“Storia Di Una Festa Mobile”, artwork di Silvia Barbieri

Diversi sono i temi toccati: dal mercato delle idee, alla vita inautentica, dall’inconscio alle strutture di Foucault. Solo la conoscenza intesa come analisi distaccata dalle strutture della società di appartenenza può salvare l’uomo dalla prigione che la sua stessa mente tende a imporgli. Uno dei mezzi per infrangere le barriere strutturali imposte dalla cultura e dalla società di provenienza, sono i viaggi, intesi come esperienze di vita, come fonte di accrescimento personale e come possibilità di affrancarsi e arrivare a una verità più alta. Partendo da premesse filosofiche e unendo la filosofia a uno stile originale che ricorda la Beat generation, il protagonista arriva alle proprie conclusioni.

Intervista ad Emanuele Anceschi

Per esplorare le tematiche di questo viaggio, abbiamo avuto il grande piacere di fare questa bella chiacchierata con l’autore, Emanuele Anceschi.

Emanuele, partiamo dal titolo. La prima cosa che mi sono chiesto è: cos’è questa “festa mobile”?

Il titolo è un omaggio al celebro libro di Hemingway “Festa mobile”. Attraverso le mie esperienze personali e l’aiuto della filosofia, considero che la vita sia proprio questa: una continua festa a cui ciascuno di noi conferisce il proprio senso. Nuove culture, nuove persone, nuovi cibi, nuove bevande, nuove scoperte, nuovi modi di vedere le cose, con predisposizione al confronto piuttosto che con atteggiamento di giudizio e superiorità. Un po’ come Alice nel Paese delle meraviglie che sceglie di essere co-protagonista più che giudice o semplice spettatrice delle sue avventure. 

Emanuele Anceschi

Emanuele Anceschi

Nel tuo libro cerchi di comprendere la società contemporanea attraverso il cinema. Ce ne puoi parlare?

Penso che il cinema sia un’arte molto democratica. Chiunque può guardare un film e farsi un’idea di ciò che ha visto. Ci sarà chi farà un’analisi più approfondita e chi invece una più superficiale. Nel mio libro utilizzo esempi cinematografici per parlare di alcuni temi già toccati da alcuni grandi filosofi, come l’anticipazione della morte, la vita inautentica, le pulsioni naturali, l’irrazionale. Questo perché i grandi registi spesso riprendono tematiche filosofiche sempre attuali. Inoltre essi analizzano la società mettendone in mostra luci e ombre, peculiarità e contraddizioni. Il legame cinema e filosofia è quindi molto forte. 

Nella premessa hai giustamente sottolineato la differenza tra Cinema e Film. Il primo è Arte – che presuppone quindi riflessioni su noi e il mondo, attraverso messaggi alle nostre coscienze e alle nostre emozioni – il secondo è Mercato – le pellicole sono prodotti, in serie, che abbracciano un target specifico. È corretto?

Sostanzialmente sì. Il cinema è un mezzo artistico e visivo che permette spesso un’immediatezza a cui la filosofia, in cui raggruppo etica, estetica, logica e metafisica, non può evidentemente arrivare. È forse il mezzo più rapido e universale per dare un messaggio allo spettatore, per accendere in lui una riflessione, un’idea, un pensiero. Il cinema ha una vocazione riflessiva, che ovviamente può avere diverse sfumature e stili. Il film invece ha un altro obiettivo più finalizzato alla gigantesca macchina del consumo e della produzione in serie secondo il principio della sostituibilità.

RWDWHX STANLEY KUBRICK, A CLOCKWORK ORANGE, 1971

Stanley Kubrick sul set di “Arancia Meccanica”

I cineasti che citi – Stanley Kubrick, David Lynch, Charlie Chaplin, Carl Dreyer, Orson Welles, Federico Fellini, Woody Allen, Ingmar Bergman, Thomas Anderson, Quentin Tarantino, Lars Von Trier – li eleva da semplici “registi” a veri e propri filosofi. Non sono solo artisti dell’immagine, ma acuti intellettuali. I loro film – o, meglio, Capolavori – continuano ad ispirarci, ad interrogarci, a terrorizzarci, a guarirci. Ognuno di loro, meriterebbe un discorso a parte, sono tutti menti giganti. E con loro, forse, c’è un ulteriore salto. Non è più solo Cinema, ma è Vita. Sono fuori strada?

È esattamente così. Li considero non semplici registi proprio perchè attraverso le loro pellicole ci mostrano la loro visione del mondo in cui siamo immersi. Per alcuni è violento e senza senso, per altri è dominato dall’irrazionalità’ che può sfociare nell’onirico o nell’ossessivo; per alcuni ipocrita e dogmatico, per altri misero ma ancora pieno di speranza; infine alcuni vedono il rapporto uomo/mondo da punti di vista differenti. Ogni regista/filosofo ci dà una propria visione del mondo. Se il cinema ha una natura riflessiva, questi grandi registi fanno un passo in avanti, costruendo una loro teoria della vita che traspongono in pellicole. Il mondo onirico e nostalgico di Fellini, quello onirico e ossessivo di Lynch, quello violento e dogmatico di Von Trier, quello misero, alienante ma con un ultimo barlume di speranza di Chaplin, giusto per citarne alcuni.

Penso ad un altro grandissimo regista del nostro tempo, Michael Haneke. I suoi film – Funny Games su tutti – vogliono colpire lo spettatore con violenza. Quel film, ad esempio, è violenza (negata, non si vede mai, la si può solo immaginare, che è ancora peggio) che colma il vuoto esistenziale che vivono i giovani, ed è un cazzotto all’ipocrisia della classe borghese. Non è cinema, ma è Cinema d’Autore. E l’autore, quando tratta certe tematiche e compone e propone certe immagini forti (pensiamo anche a Quentin Tarantino), diventa anche Responsabile degli effetti che provoca sul pubblico (qui pensiamo agli effetti devastanti, sulla società inglese degli anni ’70, di Arancia Meccanica di Kubrick, furono moltissimi gli episodi di violenza “ispirati” alla pellicola). Cosa ne pensi?

Ogni spettatore, appena terminata la visione di un film, dovrebbe sempre chiedersi quale sia il messaggio che il regista voglia trasmettere. La violenza è un tema delicato perché nel nostro mondo ovattato occidentale è considerato sgradevole e l’animo borghese di fondo delle nostre società tende a emarginarlo, mentre invece esso è parte integrante della storia umana. Già Hobbes parlava di homo homini lupus (l’uomo è un lupo per l’altro uomo). Quello che intendo dire è che un regista che affronta un tema così spinoso, spesso riesce a metterne in luce le origini e le cause. Violenza solo per il gusto di violenza non credo abbia molto senso. Più che i film criticherei il mondo dei videogames, nello specifico quelli della violenza fine a se stessa.

Victoria Larchenko ne "La Bella Gente" di Ivano De Matteo

Victoria Larchenko ne “La Bella Gente” di Ivano De Matteo

E del tema della violenza parla I Nostri Ragazzi di Ivano De Matteo, che tu nel libro citi, insieme ad un suo altro grandissimo film come La Bella Gente (senza dimenticare Gli Equilibristi, La Vita Possibile, Villetta Con Ospiti). Trovo che nell’ultimo decennio sia il nostro regista più incisivo nel descrivere le ombre della nostra società. Che Italia e italiani vediamo nei suoi film?

De Matteo è sicuramente un regista molto lucido e puntuale nel descrivere certe dinamiche. Proprio dalla visione delle sue pellicole ho elaborato la mia prima riflessione sul mercato delle idee. Mi piacerebbe chiedergli se abbia mai letto Schopenhauer. Proprio perché questo filosofo analizza come l’uomo entri a piedi pari nel campo dell’irrazionalità lasciando tutte le sue precedenti idee e convinzioni, quando deve difendere la propria prole. Sia in I Nostri Ragazzi che in La Bella Gente è evidente come i genitori, pieni di ideali e valori ma molto superficiali, li abbandonano completamente per difendere i figli. E’ un fenomeno che vedo piuttosto diffuso nella nostra Italia; basta leggere le cronache dei quotidiani per rendersene conto facilmente.

Dalla Corea al Mondo: solo un anno fa vinceva l’Oscar Parasite di Bong Joon-ho, una rappresentazione spietata della società moderna pre-Covid. Secondo te perché ha conquistato tutti?

In Parasite è evidente la figura dialettica del servo-padrone di Hegel. Il padrone (la ricca famiglia borghese) non può fare a meno dei servizi dei servi, diventando così servo dei servi. I servi dialetticamente arriveranno addirittura a impadronirsi della casa, diventando padroni dei padroni. Penso che il successo di questo film stia appunto in questa dimensione verticale che lo pervade tutto. Dalla casa dei servi senza elettricità e costantemente allagata quando piove molto nella zona bassa della città, contrapposta alla villa dei padroni in cima alla salita; le posizioni fisiche dei corpi corrispondono a quelle sociali. I poveri in basso e i ricchi in alto. Nei corridoi segreti della villa dei padroni si mette in scena questa stessa distanza verticale. Parasite è un film sulla lotta di classe nella società contemporanea. I poveri devono essere furbi per cercare di sopravvivere mentre i ricchi sono mostrati come superficiali e noncuranti. È una guerra persa in partenza ma finche’ si può sognare…

"Parasite"

“Parasite”

Da oltre un anno stiamo affrontando la pandemia. Non saremo più gli stessi, c’è stato un prima e ci sarà un dopo. Cosa saremo? Come sarà il nuovo cinema?

È la domanda delle domande. Potrei dire che mi auguro un processo dialettico hegeliano. Ovvero che questo covid19 sia un’antitesi rispetto al mondo che fin qui abbiamo costruito, che sia un ammonimento a cambiare direzione in tutti i settori, arrivando a una nuova sintesi. Il momento dell’antitesi è fondamentale per guardarsi dentro e analizzarsi. Dalla profondità e consapevolezza di questo processo di autoanalisi dipenderà cosa e chi saremo dopo questa pandemia, a cosa daremo veramente importanza e a cosa non ne daremo più. La socialità è essenziale per l’uomo e auspico che i cinema tornino a riempirsi presto. Mi auguro che il cinema possa dare il suo contributo elaborando nuove visioni, nuovi orizzonti per noi tutti, ponendo nuove domande o prevedendo nuovi mondi proprio come farebbe un grande filosofo del passato.

Intervista di Giacomo Aricò

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