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Tema immigrazione, Antonio Albanese va Contromano al cinema

Giovedì 29 marzo arriva al cinema Contromano, il film diretto ed interpretato da Antonio Albanese che lo ha anche scritto con Andrea Salerno e Stefano Bises in collaborazione con Marco D’Ambrosio (in arte Makkox). Una commedia attuale che affronta il tema dell’immigrazione.


Mario Cavallaro (Antonio Albanese) si sveglia tutte le mattine nello stesso modo, nella stessa casa, nello stesso quartiere, nella stessa città, Milano. Ha appena compiuto cinquant’anni. Mario ama l’ordine, la precisione, la puntualità, il rispetto, il decoro, la voce bassa, lo stare ognuno al proprio posto. La sua vita si divide tra il suo negozio di calze ereditato dal padre e un orto, unica passione conosciuta, messo in piedi sul terrazzo della sua abitazione. Ogni cambiamento gli fa paura, figuriamoci se il suo vecchio bar viene venduto ad un egiziano e se davanti alla sua bottega arriva Oba (Alex Fondja), baldo senegalese venditore di calzini.

Quel che è troppo è troppo e per Mario la soluzione è semplice e folle allo stesso tempo: “rimettere le cose a posto”. Così decide di rapire Oba per riportarlo semplicemente a casa sua, Milano-Senegal solo andata. In fondo, pensa, se tutti lo facessero il problema immigrazione sarebbe risolto, basta impostare il navigatore. Ma poi questo paradossale on the road si complicherà terribilmente. Anche perché Oba acconsentirà alla sua “deportazione” a patto che Mario riaccompagni a casa anche la sorella, Dalida (Aude Legastelois). Saranno guai seri o l’inizio di una nuova imprevista armonia?

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Vi presentiamo ora un estratto dell’intervista rilasciata da Antonio Albanese.

Come è nato questo progetto?

L’idea è nata un paio di anni fa insieme ad Andrea Salerno, che da diversi anni è uno dei miei autori di riferimento. L’immigrazione rappresenta oggi un fenomeno sempre più attuale e importante che viene affrontato in genere con una durezza spaventosa e una rappresentazione lacerante, cupa e drammatica: ho sentito ultimamente da certi politici, pensieri che fanno inorridire, parole sulla razza che neanche un personaggio paradossale come il mio Cetto La Qualunque avrebbe mai immaginato. Noi abbiamo scelto di affrontare l’argomento da un punto di vista umano, senza sposare la tesi dell’accoglienza a tutti i costi ma neanche quella opposta del “tornate a casa vostra”, cercando di portare in scena per una volta anche un po’ di leggerezza insieme alla forza e alla dignità di tante persone che vivono in condizioni di disagio ma non vengono quasi mai raccontate nella loro interezza. Abbiamo cercato di guardare alle paure e ai sogni di tutti provando a confrontarli in un racconto che ci riportasse su un piano di normalità e umanità, in cui non ci sono buoni o cattivi, brutti o belli, noi o loro. Esiste certamente un problema serio da risolvere promuovendo una relazione alla pari che porti a capire che facciamo tutti parte della stessa realtà. Tante persone arrivano in cerca di fortuna da Paesi lontani e sono costretti a vivere alla giornata nelle nostre città. Questo è un argomento su cui riflettere: sono una persona che osserva quello che gli succede intorno e ho sentito il bisogno di raccontarlo con un po’ di garbo e in controtendenza a questo momento storico.

Come definirebbe il film?

Mi piace pensarlo come una fiaba, credo che per certi temi spinosi bisognerebbe ritornare ai fondamentali, ad uno sguardo più semplice. Abbiamo lavorato alla nostra storia cercando di portare in scena questioni complesse in modo paradossale. La folle idea di partenza  “se tutti riportassero un migrante a casa, il problema sarebbe risolto” fa da perfetto innesco per una vicenda che porterà il nostro racconto ironico dall’Italia al Senegal in un continuo equilibrio tra realtà e lucida follia.

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Che cosa le stava a cuore fare emergere?

Mi interessava raccontare un piccolo eroe, una maschera contemporanea ma anche un po’ tutti noi e la malinconia dell’Occidente di oggi. Mario è stato costretto a fare il suo lavoro perché lo ha ereditato dalla famiglia, non ha avuto la libertà di poter scegliere, è un omino che non ha affetti, rassegnato e struggente, un piccolo borghese piuttosto benestante ma compresso da limiti e nevrosi e oltremodo diffidente. La sua è una vita dignitosa ma vuota e quando riesce finalmente ad uscire da Milano, dal suo mondo e dal suo guscio protettivo, cambierà idea grazie all’incontro con un tipo di umanità che ha energia e passione, contagia gli altri e scoprirà l’Africa come un territorio fantastico e ricco decidendo di conoscerlo meglio. Attraverso questo racconto volevo anche sottolineare che, a mio parere, una delle possibilità per avere un’immigrazione sostenibile sia quella di dare a chi vive in una terra lontana la possibilità di capire che è fertile e può produrre ricchezza. Una recente iniziativa di Slow Food ha finanziato migliaia di orti in Africa insegnando alle famiglie come coltivare, permettendo loro di mangiare e vivere dignitosamente nei luoghi in cui sono nate.

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