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Tre generazioni a confronto nella Bagnoli Jungle di Antonio Capuano

Nello stesso giorno della presentazione in Concorso di Per Amor Vostro, anche la 30esima Settimana Internazionale della Critica vedrà in gara un film campano: Bagnoli Jungle di Antonio Capuano. Un film diviso in tre capitoli che parla di tre generazioni, di tre diversi uomini. Intorno a loro la giungla di un popoloso quartiere, Bagnoli, in una grande città, Napoli. Dove un senso si è perduto e un altro non è stato ancora trovato.

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Giggino (Luigi Attrice) ha cinquant’anni, poeta nei ristoranti, ladruncolo di strada. Indossa un berretto e un k-way. E corre, non fa che correre per il quartiere. Qualche volta si ferma davanti a un’automobile, riesce ad aprirne la portiera, porta via qualcosa di poco valore. Ha una moglie e un figlio che non vede mai. Da tempo è tornato a vivere a casa dell’anziano padre che si chiama Antonio.

Quest’ultimo (interpretato da Antonio Casagrande) è un pensionato dell’Italsider, l’acciaieria che per decenni ha dato vita e lavoro a tutto il quartiere. La sua casa affaccia sull’ex fabbrica abbandonata e lui non si dà pace. L’altoforno è spento ma nessuna delle cose annunciate o promesse dopo è mai nata. Meno male che c’è Olena, la colf ucraina con cui chiacchierare e “provarci”. Meno male che c’è il ricordo di Maradona, di cui Antonio conserva religiosamente una maglietta numero 10, che dice essere stata l’ultima da lui indossata in Argentina. Un giorno decide di regalarla a Marco (Marco Grieco), che ha 18 anni e fa il garzone in una salumeria del quartiere.

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Marco da ragazzino ha sognato di fare l’attore. Fu perfino protagonista nel film La Guerra di Mario con Valeria Golino. Adesso è un ragazzo come tanti che non ha mai studiato e mai veramente cominciato a lavorare. Senza la conoscenza di un passato e un futuro davanti cui non sa prendere le misure. Un giorno perde la testa per Sara, che ha un anno meno di lui, sta in un centro sociale e ha la nonna che vive in casa con un cavallo.

Giggino, Antonio e Marco appartengono a tre generazioni diverse, e nell’arco di tre capitoli si incrociano occasionalmente. Ma incrociano, l’uno o l’altro, musicisti di strada e pittori d’appartamento, monache e malavitosi, casalinghe discinte o disperate, bottegai satolli e migranti morti di fame. E rapper, “fujenti”, gente normale in un corteo di protesta. Senza un ordine, senza un senso. Se non quelli che restano dove la storia ha smarrito la sua strada senza riuscire a trovarne un’altra. Come in una giungla.

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Bagnoli è un quartiere ad Ovest di Napoli, in zona “Campi Flegrei”, nel tratto di golfo compreso tra l’isola di Nisida e Pozzuoli. Qui, i programmi di industrializzazione dell’inizio del secolo scorso, decisero di piantare una gigantesca fabbrica per la produzione dell’acciaio.

Bagnoli dismise, quindi, la sua vocazione di quartiere di mare, bagni, “villeggiatura” e terme, per diventare “operaia”. Ma nel 1992, lo “stabilimento” venne chiuso, dismesso, venduto, rimosso “sicché anche Bagnoli, e i suoi abitanti, vennero dismessi, venduti, rimossi...” come afferma amaramente Antonio Capuano.

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Per il regista, oggi il quartiereancora si estenua a trarre, dalle sue ruggini, da quelle infamie, nuove ruggini e altre infamie. Ne è riprova l’immensa area svuotata, a ridosso del mare, che dopo più di 20 anni, e tanti programmi, è rimasta una “steppa” inquinata, desolata e vuota”.

“Bagnoli è sterminata, un impero, uno dei tanti,
della pura materia e della pura potenza.
Cos’altro possiamo creare?”

(Guido Ceronetti – Un viaggio in Italia: 1981-1983 – Einaudi)

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