Andrea Kerbaker

Dal Dopoguerra a oggi, l’Italia tra cultura e informazione volatile: intervista al Professor Andrea Kerbaker

Da dicembre a febbraio alla Triennale di Milano l’Italia è protagonista assoluta tra mostre d’arte, moda e architettura. Un’iniziativa affiancata e supportata da un interessante programma di incontri, letture e dibattiti a cura del Professor Andrea Kerbaker, tra i massimi esperti internazionali di Letteratura e Docente  di Istituzioni e Politiche Culturali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Attraverso i suoi incontri, il Professor Kerbaker ha raccontano l’Italia dal dopoguerra ad oggi, attraverso musica, cinema, fotografia, letteratura, televisione. Cameralook.it ha avuto il piacere e l’onore di poterlo intervistare.

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Presso la Triennale di Milano, lei sta raccontando in modo trasversale il nostro Paese dal Dopoguerra a oggi, attraverso approfondimenti di cinema, musica, letteratura e fotografia. Che Italia ne viene fuori?

Ne esce un’Italia vispa e piena di energie. Un’Italia che in tutti i campi non ha mai sfigurato. C’è chi pensa che il nostro Paese nel tempo abbia perso il ruolo di “capitale delle Arti”; in parte è vero, ma se esploriamo la nostra storia troviamo delle eccellenze assolute nell’architettura, nel design, nel cinema e nella fotografia. Sia singoli che interi movimenti, entrambi di grande importanza.

Cinema come un modo per raccontare. Cosa ne pensa del cinema italiano di oggi? Cosa pensa delle nuove fruizioni – streaming, on demand sul web – che aprono nuovi scenari rispetto alla sala buia?

Ritengo che il cinema italiano sia vivo. Abbiamo cineasti riconosciuti a livello internazionale. È un buon momento anche se il cinema degli Sessanta ritengo che sia irripetibile. Il nostro è sicuramente un cinema che si fa onore. Per quanto riguarda la fruizione dei film penso che i media tendono molto a storicizzare subito certe fasi che stiamo vivendo. Come se fossero irreversibili. Io invece credo che esistano diversi momenti, che possono sempre cambiare direzione. Sicuramente vedere i giovani dalle sale è un dispiacere, ma la fruizione può cambiare sempre, non è mai definitiva.

La locandina de "Il Gattopardo" nel terzo piano della "Casa dei Libri" di Andrea Kerbaker (foto di Orsola Giunta)

La locandina de “Il Gattopardo” nel terzo piano della “Casa dei Libri” di Andrea Kerbaker (foto di Orsola Giunta)

Cinema e Letteratura, come funziona questo binomio nel 2016?

Direi nella norma. Anche qui siamo lontani dal periodo fecondo del cinema anni ’50-’60, penso in particolare a film come Il Gattopardo o Il Dottor Zivago. Quella era una grande narrativa e il cinema riusciva abbastanza velocemente a trasformare il libro in immagini sul grande schermo. È il libro che dava valore alla pellicola. Oggi abbiamo molti esempi più esempi di un cinema da cassetta, di libri scritti apposta per diventare film. In questo, rispetto al cinema di oltre mezzo secolo fa, il libro purtroppo sta avendo un ruolo meno centrale.

Oggi viviamo in un mondi di informazioni, rapide, usa e getta. Siamo calati in un presente perpetuo. Anche in base al medium, oggi l’informazione e “il contenuto” sembrano aver perso significato e qualità. È d’accordo?

Non passa nessuna informazione. E qui c’è un grande equivoco. Siamo sommersi da informazioni inutili, incessanti, continue. Ma non bisogna confondere tra informazione e scempiaggini da gossip. Le nuove generazioni sanno sempre meno e sono sempre meno informate. Non ho nulla contro le nuove forme di comunicazione e se i giovani leggessero I Fratelli Karamazov in versione ebook ne sarei felice. Purtroppo però quello che noto, anche a lezione, è un progressivo allontanamento dalla conoscenza e quindi dalla cultura. In questo caso più che della forma bisognerebbe parlare di contenuti. Prima devono esserci quelli, poi parliamo del resto.

Laura Antonelli e Giancarlo Giannini ne "L'Innocente" di Luchino Visconti (1976)

Laura Antonelli e Giancarlo Giannini ne “L’Innocente” di Luchino Visconti (1976)

Quest’anno si celebrerà il centenario della nascita di Luchino Visconti, grande esempio di regista-narratore. Lei che ricordo ha di lui?

Insieme a Federico Fellini e Vittorio De Sica, è stato uno dei miei registi preferiti. Ho amato tutti i suoi film, dal suo periodo neorealista con Ossessione alla prima svolta con Senso, che ho trovato però un po’ pesante. Oltre al già citato Il Gattopardo, ho apprezzato molto Lo Straniero, da Albert Camus (1969) e il suo ultimo L’Innocente, dal romanzo di Gabriele D’Annunzio. E forse è proprio il suo ultimo periodo quello preferisco, la trilogia tedesca, da Morte a Venezia a Gruppo di Famiglia in un Interno. Per me, il suo è stato un cinema davvero formativo.

Intervista di Giacomo Aricò 

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