Per Friedrich Nietzsche, che elaborò la sua Teoria dell’Eterno Ritorno, fu un luogo di ispirazione, tanto che scrisse: “Il fatto che ogni cosa ritorni è l’estrema unione di un mondo del divenire con un mondo dell’essere: la vetta della meditazione”. Una nota scritta agli inizi dell’agosto 1881, a “Sils Maria, a 2000 metri sul livello del mare e molto più su, al di sopra di tutto ciò che è umano!”. Sils Maria è un paese immerso nelle alpi che dà il nome all’ultimo film di Olivier Assayas con protagoniste Juliette Binoche, Kristen Stewart e Chloe Grace Moretz. Da stasera al cinema.
All’apice della sua carriera internazionale, a Maria Enders (Juliette Binoche) viene offerto di recitare in un revival della commedia che l’aveva resa famosa vent’anni prima. A quei tempi interpretava il ruolo di Sigrid, un’affascinante ragazza che spinge al suicidio il suo capo, Helena. Mentre ora le chiedono di interpretare l’altro personaggio, quello di Helena.
Così, Maria parte assieme alla sua assistente Valentine (Kristen Stewart) per andare a Sils Maria, un remoto paese delle Alpi, dove si preparerà per il ruolo. Una giovane starlet di Hollywood con una spiccata propensione per gli scandali (Chloë Grace Moretz) interpreterà il ruolo di Sigrid; e così Maria si ritrova dall’altra parte dello specchio, faccia a faccia con una donna ambiguamente affascinante: un inquietante riflesso di lei stessa.
“Questo film, che ha a che fare col passato, con le relazioni che abbiamo avuto in passato, e con ciò che ci ha formato, ha una lunga storia alle spalle, che Juliette Binoche ed io condividiamo in maniera implicita”. A parlare è Assayas che ricorda di aver affrontato questo tema anche in Rendez-Vous, una storia piena di fantasmi, dove, all’età di vent’anni, la Binoche interpretativa il ruolo della protagonista. Anche quel film indagava sul percorso che una giovane attrice deve compiere per calarsi in un ruolo.
Il regista spiega che scrivere “è come seguire un sentiero, e questa storia in particolare si trova alle altezze vertiginose del tempo sospeso tra le origini e il divenire. Non sorprende che abbia inspirato in me immagini di paesaggi montani e di strade scoscese. Dovevano esserci la luce primaverile, la trasparenza dell’aria, e le nebbie del passato”.
I personaggi della Binoche e della Stewart (rispettivamente attrice e assistente), esplorano la ricchezza e la complessità dei personaggi creati da Wilhelm Melchior – personaggi che devono ancora svelare tutti i loro segreti, anche a distanza di vent’anni. Per Assayas “la questione non è tanto il teatro e le sue illusioni, né la tortuosità del racconto; ma piuttosto il tema è l’Umano, più semplice e intimo. In questo senso, le parole, quelle scritte dagli sceneggiatori, quelle di cui si appropriano gli attori, e che poi risuonano negli spettatori, evocano proprio quelle domande che tutti ci poniamo, ogni giorno, nei nostri monologhi interiori”.
In questo senso Maria Enders rappresenta tutti noi, attraverso la necessità di rivisitare il passato, “non per spiegarlo, ma per trovare le chiavi della nostra identità” come spiega il regista. Che aggiunge: “lei guarda nel vuoto e osserva la giovane donna che era all’età di vent’anni. Nel suo cuore è sempre la stessa, ma il mondo è cambiato attorno a lei e la sua giovinezza è volata via – giovinezza nel senso di verginità, di scoperta del mondo. Che non torna più indietro”.
Se la sua giovinezza rappresentava una costante reinvenzione del mondo, Maria Enders si vede diffrangere in migliaia di avatar che riecheggiano nel mondo virtuale della fama – e nell’avversione – dei moderni media. Il confine tra lo spazio intimo, quello più pateticamente banale, e quello pubblico si fa più labile: “lo cerchiamo, ma non riusciamo a trovarlo. Probabilmente, ha semplicemente cessato di esistere” spiega Assayas.
Protagonista del film, anche nel titolo, è il cielo sopra alla Valle Engadina, un paesaggio che per il regista è “immutabile e in movimento allo stesso tempo, qualcosa d’inquietante e allo stesso tempo umano. Il paesaggio è inspiegabilmente inciso nel tempo, ha assistito alle vite di tutti gli esseri viventi che l’hanno popolato, che si sono fusi con esso, in ogni epoca; e che hanno fatto esperienza delle sue altezze vertiginose”.
“È inquietante avvertire una verità intima e misteriosa in questi spazi, nonostante (o grazie a) i filtri che ci separano da essi. Essi rivelano se stessi attraverso una remota soggettività, con quasi un secolo a separarci da loro” ha concluso Assyas.
“Il teatro è la vita. È anche un po’ meglio, perché svela la grandiosità nel momento migliore delle situazioni, e anche il peggio, in ciò che è triviale e nei nostri sogni (…). Non è forse questo il processo stesso dell’arte? Che riproduce il mondo attraverso un singolo colpo d’occhio, che toglie e allo stesso tempo rivela, portando indifferentemente alla luce l’invisibile e il visibile?”
Olivier Assayas
(Tutte le immagini sono di © Carole Bethuel)