© Shanna Besson

Parigi, 13Arr., i destini si intrecciano nel bianco e nero di Jacques Audiard

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Dopo aver conquistato il pubblico e la critica dell’ultimo Festival di Cannes, il 24 marzo arriva nelle sale italiane Parigi, 13Arr. diretto da Jacques Audiard. Adattamento della graphic novel Killing and Dying di Adrian Tomine, edito in Italia da Rizzoli con il titolo Morire in piedi – racconta una moderna storia di amore e amicizia, giovinezza e sessualità, filmata in un sontuoso bianco e nero. Quattro vite con i rispettivi interrogativi esistenziali, quattro destini che si intrecciano sullo sfondo dei grattacieli parigini di “Les Olympiades”, quartiere nel XIII arrondissement. A vestire i panni dei giovani protagonisti, Lucie Zhang, Makita Samba, Noémie Merlant e Jehnny Beth.

Il film

Parigi, 13° Arrondissement, oggi. Emilie (Lucie Zhang) incontra Camille (Makita Samba), a cui piace Nora (Noémie Merlant), il cui cammino si incrocia con quello di Amber (Jehnny Beth). Tre ragazze e un ragazzo danno una nuova definizione dell’amore moderno.

Jacques Audiard racconta…

“In principio, c’erano le tre graphic novel di Adrian Tomine. Mi è piaciuta la loro brevità, la loro profondità discreta, i loro caratteri pieni di fantasie e malinconia, l’uso sapiente dei puntini di sospensione e quindi il modo in cui considerano ogni essere umano un piccolo abisso insondabile. Prima di questo punto di partenza, era da un po’ che desideravo scrivere una commedia. Collegando la commedia alle opere di Tomine, ho potuto scrivere una storia fluttuante, che rispecchiasse i personaggi di Tomine. Un film costruito con discrezione, i cui eroi, tuttavia, avrebbero parlato costantemente”.

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“Il film è soprattutto sui giovani. Giovani sicuramente, ma non più adolescenti. I quattro personaggi principali sono giovani adulti, che hanno già qualche esperienza di vita, che si incontreranno e ameranno l’un l’altro. Hanno tutti un’esistenza sociale, non sono eremiti. Tre di loro sono sulla trentina e hanno già affrontato difficoltà nel trovare casa e/o un lavoro, attraversano crisi professionali e non riescono ad ambientarsi nella loro sessualità, figuriamoci in una relazione. Cambiano il loro stile di vita essendo appena diventati autosufficienti. Ecco dove sono, come le anime perdute dei racconti di Adrian Tomine. In effetti, tutti i personaggi affrontano la disillusione, ma in senso positivo perché erano illusi di sé. Le esperienze che attraverseranno gli apriranno gli occhi su chi sono veramente”.

“Ancor prima del principio, c’era La mia notte con Maud di Rohmer, e senza accorgermene, il desiderio di fare un film, un giorno, conversando d’amore, o più esattamente: quando e come si parla di amore oggi? Ne La mia notte con Maud, due uomini e una donna, ma soprattutto un uomo e una donna, parlano tutta la notte. Parlano di tutto: di loro, ovviamente, ma anche di Dio, Blaise Pascal, la neve che cade, la vita di provincia, il fascino delle giovani cattoliche, e così via. Alla fine, nonostante siano stati mostrati e riconosciuti tutti i segni di un’attrazione reciproca, quando dovrebbero abbracciarsi e amarsi, non lo fanno. Come mai? Perché è stato detto tutto e la seduzione, l’erotismo e l’amore sono stati tutti incanalati solo nelle parole. Dar loro un seguito sarebbe stato superfluo”.

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“Come funzionerebbe questa situazione oggi, quando ci viene offerto esattamente l’opposto? Cosa succede realmente nell’epoca di Tinder e del “farlo al primo appuntamento”? Può esserci un discorso amoroso in queste condizioni? Sì, certo, come potremmo dubitarne. Ma quando entra in gioco? Quali sono le parole e i protocolli? Questo è uno dei principali fili narrativi del mio film”.

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